di Adolfo Mollichelli
Il mondiale è alle porte. Si rigiocherà in Brasile dopo 64 anni. Fu il mondiale del Maracanazo, la morte di un popolo. Ucciso da Ghiggia e Schiaffino. Il piccolo Uruguay si laureò per la seconda volta campione del mondo
Lasciò il Maracanà in un silenzio irreale, intriso di lacrime disperate. Gli sarebbe bastato un pareggio al Brasile, perse 2-1. Era accaduto l’impensabile, l’impossibile. Eduardo Galeano ha descritto – direi scolpito – il trepidare dell’attesa e l’inconsolabile tristezza del dopo. Così: “I moribondi ritardarono la loro morte e i nascituri accelerarono la loro nascita. Rio de Janeiro, 16 luglio 1950, stadio del Maracana. La notte prima, nessuno poteva dormire. La mattina dopo, nessuno voleva svegliarsi”.
Fu dopo il Maracanazo che la federazione decise di cambiare pelle. Se da più di mezzo secolo li chiamiamo verdeoro è perché i nazionali brasiliani smisero da quel giorno la maglia del lutto che era bianca con colletto blu.
Il Brasile è pentacampeon. Cinque titoli mondiali, uno più dell’Italia. Ha vinto in Svezia, in Cile, in Messico, negli Usa e in Giappone. Ora gli tocca vincere in casa. Deve. Per vendicare quell’onta lì, neanche lo nominano più (il Maracanazo).
Come ci arriva il Brasile al suo mondiale? Sull’onda della Confederation’s Cup vinta sulla Spagna. Tra proteste e caos non solo nelle città sedi delle partite. E con ritardi inconcepibili nei cantieri del mondiale. Ce la faranno, blatera da sempre Blatter l’ex colonnello signore della Fifa.
E’ di questi giorni lo scontro tra gli indios e le forze dell’ordine a Rio. Archi e frecce da una parte, lacrimogeni e manganelli dall’altra. Gl indios protestavano per un decreto governativo sulle limitazioni territoriali e si sono uniti ai manifestanti per il diritto alla casa. Non credo che sarà un mondiale facile dal punto di vista dell’ordine pubblico. Certo, i brasiliani non faranno mancare il loro colorito e rumoroso sostegno alla nazionale che ha il compito scaramantico di “annullare” il Maracanazo e di puntare alla conquista della sesta coppa. Negli stadi ci saranno, eccome. Ma è fuori, nelle vicinanze che i diseredati cercheranno di ricordare al mondo intero che favelas e meninos da rua sono dolore, non folklore.