di Lidio Aramu
Siamo alle solite, le fanfare della retorica politica annunciano che quella che fu tanti anni or sono la Mostra d’Oltremare ha un nuovo presidente e questa volta è donna, la prima da quando essa è stata costruita.
Ma non è la sola novità poiché è stata individuata attraverso una selezione susseguente ad un avviso pubblico. Si tratta di una docente di marketing senza alcun dubbio preparata e puntuale, ma questa non è una “prima volta” considerato che l’Oltremare è stata già governata e a lungo da un autorevole docente di economia qual è Raffaele Cercola.
La terza innovazione risiede in una influente modifica dello statuto per consentire all’azionista di maggioranza – il Comune di Napoli – di far pesare la sua posizione in sede di Consiglio di Amministrazione, lasciando alla sola Camera di Commercio (la Regione ha rinunciato a parteciparvi) il ruolo di minoranza. Della quarta, la più importante non c’è traccia…
Inutile ripeterlo, l’ultimo ed unico tentativo “filologico” di rilanciare il complesso espositivo flegreo risale alla presidenza Tocchetti che intravide nella realizzazione della “Mostra del lavoro Italiano nel mondo” lo strumento per dar corpo e nuova vitalità alla dimensione oltremarina della Mostra. Si era all’inizio degli Anni’50, sul proscenio del ricostruito ente autonomo, ma sotto posto alla vigilanza dei ministeri degli Affari Esteri e dell’Industria e Commercio, transitarono prestigiose figure della politica e dell’economia: Enrico De Nicola, Vittorio Valletta, Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Epicarmo Corbino. Un recupero strutturale e funzionale che salvava il triangolo delle esposizioni creato negli Anni ruggenti i cui vertici, orientati verso il cuore dell’Europa (Campionaria di Milano), il Vicino e Medio Oriente (Fiera del Levante) e l’oltremare italiano mediterraneo (Triennale d’Oltremare), avrebbero dovuto alimentare ed intensificare un flusso di scambi economici e culturali dai tre punti cardinali per Napoli ed il Mezzogiorno. Il presidente Luigi Einaudi asserì che la “degnissima rassegna (Mostra del Lavoro Italiano nel Mondo) che così efficacemente attesta il fervore di rinascita e di ascesa del Mezzogiorno confortato dalla operante solidarietà di tutto il paese”.
Purtroppo le cose non andarono per il verso giusto. Il 28 giugno del 1958, tra squilli di tromba e bandiere al vento, fu ufficialmente inaugurata dal presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, la I Fiera Internazionale della Casa. Una manifestazione la cui rilevanza andò scemando nel tempo lasciando il campo a ciclici e sterili annunci di un immancabile rilancio ad ogni cambio della guardia ai vertici dell’Oltremare fatto di iniziative dalle incerte ricadute socio-economico-culturali. Rileggendo le pagine della storia recente della Mostra sembra di rivedere le scene della famosa tragicommedia di Samuel Beckett. Un’attesa surreale di un “rilancio di nome Godot”.
La Mostra d’Oltremare innegabilmente è un bene comune. Lo è per le quote azionarie della S.p.A. detenute dal Comune di Napoli, perché fu strutturalmente concepita come una città nella città e, soprattutto, perché le sue funzioni dovevano rappresentare un volano per l’economia locale e nazionale. Ciò nonostante negli annali del Consiglio comunale non esiste una sola riunione dell’Assise cittadina dedicata alla definizione di una strategia condivisa.
Ecco la quarta novità che ci saremmo aspettati giacché la sottoutilizzazione ed il degrado dell’Oltremare sono innanzitutto da imputare alla mancanza di una mission di alto profilo. Da una funzione unitaria di grande respiro si è passati al trinomio funzionale (fieristico-espositivo; turistico-congressuale; culturale-sportivo) individuato dal presidente reggente Salvato. Una visione asfittica questa che pur ripresa dai suoi successori non è riuscita a rendere palpabile quel kafkiano rilancio coralmente annunciato dai vertici aziendali e dalle maggioranze politiche dominanti.
Ma come si fa a non considerare che il destino di Napoli è nel Mediterraneo ed oltre. Che per questo la città ospita numerose e prestigiose istituzioni che si occupano di relazioni con l’oltremare prima fra tutte l’autorevole “L’Orientale” e che, in questa prospettiva, potrebbe determinarsi una feconda sinergia tra porto, Mostra, dipartimenti universitari ed istituzioni ad elevata caratura commerciale, culturale e scientifica. La Mostra fu creata perché doveva essere un grande emporio mediterraneo in sinergia con il porto, le industrie, il Mercato nazionale delle pelli ed il polo universitario costituito dall’Orientale, l’Università Coloniale e quella Islamica, queste ultime non realizzate per cause belliche e cambio di regime.
Ma è così difficile chiamare a raccolta le eccellenze della città per definire in ogni dettaglio una strategia in grado di riposizionare Partenope al centro del Mediterraneo? Una democratica rivoluzione nella metodica per la designazione del nuovo presidente dell’Oltremare sarebbe stata necessaria per sconfessare con i fatti la teoria secondo la quale la scarsa attenzione del governo nazionale nei confronti della città sia da ascrivere essenzialmente alla sciagurata ipotesi che oramai per Napoli e per il Sud non ci sia più nulla da fare.
Ecco al chiodo avremmo voluto che De Magistris avesse appeso il vecchio modo di gestire il bene comune Mostra d’Oltremare invece che micro-mutazioni di genere e potere. Ai napoletani intanto non resta altro che l’ennesima attesa dell’immancabile “rilancio-Godot” rinviato ad una futura presidenza dell’Oltremare.