Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi, 54 anni, giornalista, scrive di cronaca nera e giudiziaria per Il Mattino. Autore del volume "Napoli è servita" e coautore dei libri "Il Casalese", "Al mio Paese - Sette vizi, una sola Italia" e "Mafie". Dirige il sito della Federazione delle associazioni italiane antiracket la rivista online "Lineadiretta". Collabora come docente al Master di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa.

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La curva C. La curva camorra

di Giuseppe Crimaldi

L’ordine era preciso e perentorio: “Lasciare libere sette gradinate in onore, rispetto e memoria di Pasquale”.

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E chi è Pasquale? Forse l’ingegnere che ha progettato il San Paolo? Un filantropo dello sport a Napoli? L’inventore della penicillina? Siete fuori strada: Pasquale – al secolo Pasquale D’Angelo – era un tifoso azzurro, uno di quelli che non si perdeva una partita e che viveva per il pallone al punto da non rinunciare a null’altro, pur di tifare Napoli. Sia pace all’anima sua: quel cuore colmo di azzurro si è fermato improvvisamente durante la partita giocata dalla squadra allenata da Rafa Benitez a Mosca, nel giovedì di ritorno di Europa League. Parce sepulto. E fin qui, chapeau.

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Il fatto, però, è un altro. Napoli è capace di divorare idoli, angeli e diavoli allo stesso modo. Ed ecco, ieri sera – in occasione di Napoli-Atalanta – arrivare l’ordine perentorio partito dai soliti ambienti dei soliti noti che normalmente comandano al San Paolo: per rispettare la memoria di D’Angelo il settore della Curva B, lo stesso nel quale Pasquale ha trascorso una vita a tifare Napoli, “deve restare vuoto”. Con buona pace per quanti avevano acquistato un biglietto (tra loro, tanti i padri con mogli e figli al seguito). E così sia. Non minacce, ma opere di bene? Così è stato. Assembramento di spettatori, costretti a vedere la partita relegati in angoli estremi, perché quella parte di curva doveva essere lasciata vuota.

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Non sappiamo se esista un reato, al di là di quello che prefigura la “violenza privata”, che in soldoni si traduce in minaccia. Sappiamo bene invece che – ancora una volta – al San Paolo è andata in scena una vergognosa intimidazione dal sapore vagamente camorristico che conferma tutti gli agri sospetti sull’organizzazione del tifo organizzato all’ombra del Vesuvio, su chi lo gestisce e sulla impotenza di chi invece dovrebbe garantire il diritto a vedere una partita in pace e tranquillità. Una vergogna infinita che riesce a rovinare anche l’applauso e il minuto di raccoglimento per il povero Pasquale D’Angelo. Era proprio necessario intimare ai possessori di un biglietto che prevede il numero di posto da occupare di sloggiare, per onorare la memoria di un capo ultrà?

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