Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

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La “sconfitta” del Duca

di Lidio Aramu

Non parlerò del lungomare “libbberato”, punto d’onore del nostro immaginifico sindaco. Non racconterò degli ambulanti e dei venditori di mercanzia taroccata che lo infestano e lo deturpano come torme di voraci locuste. Né della trasformazione del più noto luogo simbolo di Napoli in qualcosa che ricorda molto alla lontana un suk medio orientale

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Il monumento Armando Diaz

Questa volta la mia attenzione si rivolge all’area monumentale dedicata ad Armando Diaz e a tutti i caduti della Grande Guerra. Un luogo la cui sacralità è sempre più spesso mortificata e vilipesa da un ignobile quanto ininterrotto assedio di bancarelle, porchettari, trippaioli ed affini e ponteggi vari.

In occasione della Vuitton Cup, una sorta di surrogato della Coppa America, al complesso monumentale furono persino amputati gli alti pennoni su cui svettavano i tricolori d’Italia che incorniciavano – vista dal mare – la statua equestre del grande condottiero.

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La Coppa Davis

Per i quarti di finale di Coppa Davis, l’amministrazione comunale si superò, inglobando l’intera area monumentale in un estemporaneo campo da tennis cosicché, dall’alto del suo cavallo il Duca partenopeo della Vittoria poté assistere da “portoghese” all’intera competizione.

Se amassi la polemica, non mancherei di ricordare che nell’area industriale dismessa ad occidente della città, da anni è stato quasi realizzato, per la modica cifra di circa 40 milioni di euro, un “Parco dello Sport”.

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Il fantomatico Parco dello Sport

 

Un complesso sportivo, distribuito su 230 mila metri quadrati, inutilizzato e degradatosi nel tempo, costituito da campi di calcetto, basket, tennis, pallavolo, attrezzature per gli sport minori, un’area ludica per i bambini ed una pista ciclabile di 20 chilometri. Un complesso che il sindaco De Magistris aveva promesso d’inaugurare per la fine del 2012 e che, all’opposto, continua a degradarsi per le azioni degli uomini e del tempo.

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Più volte ho avuto l’occasione per stigmatizzare l’accanimento arancione contro il manufatto commemorativo ed è stato forse per tacitare le mie insistenti rimostranze se sono stati collocati due rachitici e patetici pennoncini in luogo di quelli originari che pure avrebbero dovuto godere di qualche tutela della Soprintendenza. Ma si sa che a Napoli tra tanto “relativismo”, anch’essa non è indenne da colpe come testimonia lo scempio perpetrato impunemente ai danni della storica e “tutelata” villa comunale.

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I ponteggi alla statua

In questi giorni la statua equestre del Maresciallo Diaz appare di nuovo circondata da un sistema di ponteggi. Questa volta però non si tratta d’iniziative propedeutiche alla realizzazione dell’ennesimo evento a perdere, ma di una doverosa opera di pulizia dei marmi imbrattati di vernice da mani vandaliche e di una verifica dell’integrità strutturale del monumento ordinata dal Municipio per un costo complessivo di circa 150 mila euro.

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Il mercatino del lungomare

Un lifting giustificato dal fatto che tale storico manufatto ricade in una zona ad “elevata attratività turistica resa maggiormente fruibile mediante la creazione della Ztl … alle spalle del frequentatissimo parco pubblico della Villa Comunale”. Così si legge nella scheda del monumento redatta dal Servizio Programma Unesco e Valorizzazione Città Storica. Nessun accenno al profondo significato che il monumento riveste per molti napoletani; quello che viene rappresentato dal Comune è un luogo privo d’identità, senz’anima.

Ben pochi, infatti, sanno che, a dieci anni dalla conclusione della guerra, la realizzazione dell’opera fu fortemente voluta da Sarah Diaz, vedova del Maresciallo d’Italia, da numerosi comitati locali e soprattutto dall’Associazione Nazionale Famiglie Caduti in Guerra, Sezione Provinciale di Napoli e che per realizzarlo fu indetta dal Governo una sottoscrizione nazionale tra tutti i Comuni del Regno con la quale si raccolsero fondi per oltre un milione e centomila lire. Il Comune di Napoli partecipò con un’elargizione di 50 mila lire e la donazione del suolo su cui sorge il monumento.

Mausoleo Sacrario Schilizzi di Posillipo

Mausoleo Sacrario Schilizzi, Posillipo

Una realizzazione che si rivelò molto complessa sia per la scelta del luogo dove collocare la scultura commemorativa, sia per il concorso nazionale per la statua di Armando Diaz. Mussolini avrebbe voluta sistemarla dinnanzi al Palazzo delle Poste, nel cuore del Rione Carità; altri avrebbero voluta posizionarla in prossimità del Mausoleo Schilizzi a Posillipo, la scelta definitiva, per l’amenità del luogo e per la grande visibilità che il monumento godeva dal mare, ricadde sul tratto di via Caracciolo che ben conosciamo.

Architetto Gino Cancellotti

Gino Cancellotti

Fissata l’ubicazione, nell’autunno del 1933, la Confederazione Nazionale Sindacalisti Fascisti Professionisti e Artisti di Roma con la collaborazione di Alberto Calza Bini, segretario del Sindacato Nazionale Fascista Architetti; di Antonio Maraini, scultore e Commissario del Sindacato Nazionale Fascista di Belle Arti e Attilio Selva, scultore ed accademico d’Italia, redige il bando di concorso. La competizione riservata a coppie costituite da un architetto e da uno scultore ex combattenti, fu molto partecipata al punto che la giuria fu costretta a più selezioni che alla fine sancirono la vittoria del bozzetto elaborato della coppia Gino CancellottiFrancesco Nagni.

I lavori si svolsero con grande rapidità ed il 28 maggio 1936, il re d’Italia, nonché neo imperatore d’Etiopia, al cospetto di un’adunata oceanica di combattenti, inaugurò ufficialmente il prodotto della mobilitazione nazionale, quasi a voler sottolineare una rinascita dell’unità – questa volta reale, vera – del popolo italiano, non più frutto di annessioni manu militari, ma nata nelle trincee del Carso, sulle sponde del Piave, nell’ultima e vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto, e divenuta adulta con il progresso industriale e rurale, con la costruzione dello Stato sociale dell’Italia proletaria e fascista.

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Gabriele d’Annunzio Natale Palli su uno SVA5

Raccontando ad Armando Diaz e ad un gruppo di ufficiali il suo volo su Vienna, Gabriele D’Annunzio descrisse con immagini e parole alate quelli che erano i sentimenti del tempo: “Quel viso dell’Italia bella lo vedemmo farsi doloroso quando oltrepassammo il Piave che ha una sola riva, quando scoprimmo i bei monti azzurri di Pordenone, i nostri bei campi di Aviano e della Comina, i pianori delle aquile e dei falchi; le miti città porticate della Livenza e del Tagliamento; e la corona di Palma a nove punte; e la collina del Castello udinese;e Cividale con in fronte la sua gemma di Santa Maria in Valle, e tutta la Patria del Friuli sospesa alla forza del Grappa come un’anima a una sentenza di vita e di morte; e Gorizia che ci pareva ancora nel secondo anniversario; e l’Isonzo come un nastro di cielo caduto e trascinato; e il Sabotino come un’effigie del nostro furore impietrito; e Caporetto come una disperazione che salisse a lacerarci le ali; e il Cucco e Plezzo, e Plava e Tolmino, e la roccia di Monte Nero dove tutti i solchi scavati sono le vie terribili di Roma; e tutti i nostri carnai e tutti i nostri cimiteri, e tutti i nostri calvari, tutti i nostri luoghi santi […] Non bisogna piangere. Non bisogna singhiozzare. Bisogna ricordarsi, ricordarsi, ricordarsi. Né ora io posso più parlare. Dov’è tal pianto, non è più parola”.

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Ricordare, con gli altri, i figli di Partenope che immolarono la propria esistenza per completare il disegno risorgimentale dell’Unità d’Italia. Ricordare per dare un senso a quel sacrificio di giovani vite seppur lontano nel tempo.

Il ricordo dei grandi personaggi della storia, così come quello degli umili eroi delle trincee, seppure indotto dall’osservazione di un monumento sepolcrale e celebrativo, spinge gli uomini a compiere pregevoli azioni. Altro che arredo urbano… E non mi si venga a raccontare che valori della patria sono ormai demodè e che, pertanto, non sono più recepiti.

“Una comunità nazionale coesa dal principio della libertà civile e politica e dal rispetto della libertà degli altri popoli e delle altre nazioni – ha scritto Maurizio Viroliinterpreta l’amore della patria come amore caritatevole della libertà e del bene comune che si traduce in cura e servizio”.

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Nelson Mandela

Mandela per sconfiggere l’apartheid contrappose il patriottismo al razzismo: indicò a neri e bianchi la strada dell’amor patrio per superare le divisioni razziali. Ma forse tutto questo il nostro immaginifico sindaco lo ignora intento com’è alla riesumazione del famigerato borbonico trinomio delle feste (eventi sul lungomare), farina (i pizzaioli riconoscenti per l’ampliamento dei propri esercizi commerciali sulla pubblica strada) e forca (le tasse più alte d’Italia).

 

 

 

 

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Un pensiero su “La “sconfitta” del Duca

  1. Giovannella Sansone

    Lidio Aramu sa centrare con arguzia e intelligenza i concetti di un’italietta che ha sopraffatto con i suoi omuncoli una Grande Italia ! Dispiace vedere cio’ che e’ Storia di Napoli e dell’Italia in mani cosi’ pessime ! bravissimo Aramu e grazie sempre . Giovannella Sansone

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