Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi, 54 anni, giornalista, scrive di cronaca nera e giudiziaria per Il Mattino. Autore del volume "Napoli è servita" e coautore dei libri "Il Casalese", "Al mio Paese - Sette vizi, una sola Italia" e "Mafie". Dirige il sito della Federazione delle associazioni italiane antiracket la rivista online "Lineadiretta". Collabora come docente al Master di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa.

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L’Isis si combatte così

di Giuseppe Crimaldi

 La scomparsa del volo Ms804 dell’Egyptair nei cieli tra la Grecia e l’Egitto è l’ultimo drammatico anello, in ordine di tempo, di una lungo rosario morte. E di misteri. E di attentati.

A cominciare da quell’ormai fatidica sera del 27 giugno 1980 quando un Dc9 dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo esplose nel cielo di Ustica con 81 persone a bordo, sino al 31 ottobre dello scorso anno,  quando l’Airbus 321 della compagnia Kogalymavia, decollato da Sharm el-Sheikh e diretto a San Pietroburgo, si è schiantato dopo l’esplosione di una bomba poi rivendicata dall’Isis (224 morti). Per non parlare dell’attentato all’aeroporto di Zaventem a Bruxelles di due mesi fa di due kamikaze, due esplosioni nei pressi dei banchi accettazione(dodici morti).

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Le bombe all’aeroporto di Zaventem a Bruxelles

Gli aeroporti, nonostante tutto, appaiono indifesi. Necessario correre ai ripari. L’Europa ha cominciato a valutare l’ipotesi di introdurre anche nei suoi scali un modello “stile Tel Aviv”. Da decenni negli aeroporti israeliani si accede solo dopo rigidissimi controlli che prevedono i metal detector all’entrata degli scali per bagagli e persone più il controllo del biglietto e del passaporto. All’interno, inoltre, migliaia di telecamere e una presenza costante dei servizi di sicurezza consente un controllo praticamente totale su chi entra e chi esce dagli scali. Misure di sicurezza da copiare. E non solo per gli aeroporti.

Yoram Schweitzer

Yoram Schweitzer

“Se vuole vivere in un Paese sicuro, venga da noi. Venga pure in Israele, senza paura”. Le parole pronunciate da Yoram Schweitzer alla fine di una lunga intervista sono forse la chiave di tutto il suo lungo ragionamento sul rischio che corre l’Occidente di precipitare negli inferi della paura. Un salto nel vuoto sotto la spinta delle minacce che arrivano dal nuovo terrorismo globale targato Islam.

Già consulente personale del primo ministro israeliano Bibi Netanyahu (che a marzo lo spedì a Bruxelles all’indomani degli attentati per offrire collaborazione al governo belga) oggi dirige il programma “Terrorismo e Conflitti Minori” dell’Istituto di Studi per la sicurezza nazionale di Tel Aviv.

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Giuseppe Crimaldi

Non si concede facilmente ai giornalisti, il professore. Ma l’occasione di incontrarlo a Napoli, dove ha partecipato nei giorni scorsi a un seminario internazionale sulla sicurezza, era troppo ghiotta. Lo abbiamo incontrato per “Il Napoletano” nella saletta di un albergo del lungomare.

“Il terrorismo è terrorismo ovunque, questo è vero – spiega – qualsiasi sia il motore che lo muova. Come dice la parola stessa, vuole gettare nel terrore le società contro cui si scaglia. Ma non per questo tutte le situazioni sono assimilabili. Quanto accade in Europa è diverso da quello che succede in Israele.”

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Benjamin Netanyahu

Perché è diversa?La questione della prevenzione è complessa. Sento molte critiche rivolte ai Servizi, ma dobbiamo partire da un presupposto. Il lavoro di intelligence non è mai perfetto: non lo è negli Stati Uniti, non lo è in Israele. Le falle sono purtroppo normali. E questo spinge i servizi di sicurezza a migliorarsi costantemente ma perché questo accada bisogna investire”.

Parole attualissime, alla luce del disastro aereo del boeing della Egypt Air che adesso fa già azzardare a tanti l’ipotesi dell’ennesimo attentato terroristico. Che idea si è fatto sull’incidente dell’aereo egiziano“Non parlo mai di casi specifici senza prima avere letto le carte o esaminato i documenti. E’ ancora troppo presto per dire se si è trattato di un atto terroristico. Aspettiamo almeno le scatole nere”.

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La sicurezza all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv

L’Europa è ferita a morte. Cosa ci dobbiamo ancora aspettare in Europa?  Il nuovo terrorismo jihadista punta a una escalation di azioni clamorose e, nella sua logica perversa, anche “spettacolari” per aumentare il senso di impotenza e di paura nella gente. Un rischio da non sottovalutare. In questi anni i Paesi europei non hanno destinato abbastanza risorse per migliorare i propri servizi di anti-terrorismo, per cui serve più personale e maggiore qualificazione”.

Che cosa intende per “azioni clamorose”? “I terroristi dispongono di mezzi, fondi e soprattutto “cervelli” in grado di progettare una offensiva inedita, basata cioè non più e non solo su attacchi con armi convenzionali. La loro ricerca è sul punto di effettuare un ulteriore salto di qualità nella scala delle mostruosità degli attentati. Probabilmente anche mediante l’utilizzo di sostanze chimiche o di espedienti capaci di superare il livello dei controlli anche più rigorosi”.

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Chi c’è dietro questa Spectre jihadista? Chi sono i finanziatori del nuovo terrore“Il ruolo di alcuni Paesi coinvolti a vario titolo è già stato dimostrato: dall’Iran, che continua a foraggiare gli Hezbollah in Libano all’Arabia Saudita. Per non parlare del “macellaio”, il presidente siriano Assad. Un altro rischio è quello di continuare a sottovalutare il ruolo di Al Qaeda, ritenendola ormai quasi marginale rispetto all’Isis. Non è così. Per questo parlo di un nuovo terrorismo globale come nuova minaccia per tutto il pianeta. Abbiamo a che fare con una multinazionale del terrore che è capace di colpire in ogni momento e ovunque: dall’Italia alla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti all’Australia. Non c’è uno Stato, una nazione che non debba sentirsi sotto attacco ed esente dal rischio. Lo stato islamico è strategicamente in guerra, e la guerra contro il jihad deve distruggere sia lo stato islamico sia Al Qaeda”

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Parliamo dell’Italia. “Il vostro Paese – ovviamente anche perché Roma è la capitale del mondo cristiano – viene considerato da questa gente il simbolo per eccellenza dell’apostasia. E pertanto colpire quello che è un simbolo equivarrebbe a collezionare un altro successo. In più voi avete il problema dei profughi, e purtroppo dietro la catastrofe umanitaria che spinge i migranti a lasciare i loro Paesi in preda alle guerre esiste il rischio concreto delle infiltrazioni. Poi c’è anche un altro discorso da tenere in considerazione nella valutazione generale dei rischi: la presenza delle organizzazioni mafiose, che pur non essendo ideologizzate non esitano a fare affari con chiunque. I traffici di droga o di armi, ma la stessa tratta degli esseri umani possono trasformarsi in catalizzatori devastanti”.

 

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