Angelo Vaccariello

Giornalista esperto di economia e Mezzogiorno Ora si occupa di marketing e comunicazione.

licenziamento

Si può licenziare? Si, per guadagnare…

di Angelo Vaccariello

Il licenziamento per “profitto” è legittimo. Ad affermarlo non è un occhialuto professore della scuola di economia di Chicago (quella, per intenderci, alla base del neo-liberismo) ma la Cassazione italiana in una sentenza dello scorso 7 dicembre.

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La suprema Corte, discutendo il caso di un manager licenziato dall’azienda anche non in presenza di una fase di crisi, ha postulato la possibilità da parte dell’azienda di “eliminare” una posizione lavorativa se ciò consente all’organizzazione di aumentare la profittabilità.

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Per i giudici, “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della I. numero 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda – afferma la Cassazione – non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa”.

La sentenza, come spiegano i migliori analisti, consentirà ad imprese disoneste di licenziare in tronco chiunque esse vogliano: chi potrà mai contestare il principio della profittabilità? Quest’ultima pronuncia, poi, si inserisce in un quadro normativo che ha reso l’Italia un vero e proprio paradiso per la libertà di licenziamento. Con il famigerato “jobs act”, infatti, le aziende non hanno più grandi ostacoli per liberarsi di un lavoratore sgradito.

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Renzi e Poletti

L’introduzione delle norme, volute dall’allora presidente del Consiglio Renzi e dal ministro Poletti, avrebbe fatto aumentare l’occupazione perché finalmente l’Italia si sarebbe messo al passo “con le più importanti economie mondiali”. Non solo questo non è successo, visto che l’unico segno più nel mercato del lavoro è dato dall’aumento dei voucher, ma ancora una volta il jobs act ha dimostrato un vecchio adagio: il lavoro non si crea per legge ma è necessario che sia l’economia a volerlo.

La cosa che più colpisce ora con la sentenza della Cassazione è che l’Italia diventa più liberista degli Stati Uniti d’America, patria del turbo capitalismo, dove una norma del genere (licenziare per creare profitto) non è mai stata approvata.

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