di Ottorino Gurgo
Rimbalza quotidianamente sulle pagine politiche dei giornali una “non notizia”: la “non notizia” è quella che dà per prossima una scissione nel Pd e la definiamo “non notizia”, seguendo una vecchia regola: quella secondo cui un cane che morde un uomo non fa notizia, mentre fa notizia un uomo che morde un cane. Il che vuol dire che, per esser notizia, un evento deve avere carattere di straordinarietà. Ma quale carattere di straordinarietà ha una scissione a sinistra, se è vero che di scissioni è lastricata l’intera esistenza di questa parte politica ?
“Continuiamo così, facciamoci del male”, prendendo a prestito la famosa battuta di Nanni Moretti, sembra essere diventato il motto della sinistra italiana.
Per rendersene conto non bisogna andare neppure troppo lontano, anche se non possiamo non ricordare la scissione di Livorno del 1922, madre di tutte le scissioni, che segnò la spaccatura del partito socialista e la nascita del partito comunista.
Ma restiamo ai giorni nostri, facendo riferimento ad alcuni avvenimenti che ci sembrano particolarmente significativi.
Nel 1988 Romano Prodi venne sfiduciato e dovette dimettersi per far posto, in una congiura di palazzo, al governo di Massimo D’Alema (quando si tratta di complotti lui c’è sempre) e fu questa la premessa di una clamorosa sconfitta elettorale che costrinse lo stesso D’Alema a rassegnare le dimissioni da capo del governo.
Nel 2008 fu un altro sedicente umo di sinistra, Fausto Bertinotti, a provocare la caduta del governo Podi e nell’aprile del 2013 fu ancora il “supertradito” Romano Prodi (come stupirsi se, ora, non si fida più dei suoi compagni di partito ?) ad essere vittima di quei franchi tiratori – ben 103 – che ne impedirono l’elezione alla presidenza della Repubblica (trattamento analogo a quello riservato a Franco Marini, altro esponente “dem” di primo piano) costringendo alle dimissioni l‘intero gruppo dirigente del Pd.
Molti altri casi potrebbero essere citati a dimostrazione di questa inveterata tendenza a farsi del male. Del resto, lo stesso Enrico Berlinguer era stato preso di mira dai compagni di partito nell’ultima fase della sua vita.
Qualche anno fa, in Francia, Jean Philippe Donecq, saggista di grande talento, ha pubblicato un pamphlet che sembra ispirato alla situazione italiana, il cui titolo è emblematico: Cette obscure envie de perdre à gauche (Questa oscura voglia di perdere a sinistra). Scrive Donecq. “La sinistra perde per colpa della sinistra… C’è sempre qualcosa, sempre una buona ragione di sinistra di essere contro la sinistra. Di preferire l’opposizione, l’ideale, l’impotenza”.
Tempo fa, un intellettuale che non può certo essere considerato di destra, Luigi Manconi, ha parlato dell’autofagia di un certo minoritarismo di sinistra come “manifestazione di una rissosità caratteriale e di un estremismo intellettuale, di una nevrastenia umorale e di una coazione mentale che pretende di mobilitarsi come intransigentismo etico”.
C’è, in effetti, in una parte della sinistra, una vera e propria vocazione all’opposizione che la porta a rifuggire ogni posizione di responsabilità. Il risultato concreto di questa “etica dell’irresponsabilità” è sotto gli occhi di tutti: è la saldatura tra questi “profeti del facciamoci del male” e il rozzo e demagogico populismo dei grillini e della Lega che sono i veri beneficiari delle loro contestazioni.