Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

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C’era una volta l’America …

La Napoli a stelle e strisce è andata via, non esiste più. Insieme alla Nato è scomparso un pezzo della nostra storia del dopoguerra   

Con il trasferimento del comando “Allied Joint Force Command Naples” nei pressi del lago Patria, si esaurisce la lunga relazione intercorsa tra Napoli ed i militari americani per oltre mezzo secolo. Il binomio, per chi ha i capelli bianchi come me, riporta alla mente gli anni duri e grigi del dopoguerra. Anni fortemente caratterizzati dalle miserie materiali e morali di una popolazione annichilita dal terrore dei bombardamenti, dalle privazioni e dalla sconfitta. Il tenore di vita e lo spirito del tempo sono arcinoti per essere stati immortalati dalla cinematografia neorealista di Rossellini, De Sica e descritti dalla prosa di Malaparte.

nat2Personalmente, per ragioni anagrafiche, non ho visto la Napoli del mercato nero, delle Am lire e delle “segnorine“, tuttavia ho fatto in tempo ad incrociare i gruppetti di militari dell’Us Navy tracimanti nei vicoli. L’ultimo retaggio della liberazione. Quanta tristezza nel guardare quei plotoni di marinai guidati da laidi individui che dopo averli prelevati nel porto, li destinavano come merce usa e getta ad uno dei tanti bordelli dei Quartieri spagnoli. Osceni tuguri dove marinai e marines venivano, sistematicamente, ubriacati e depredati di ogni avere. Alla fine degli Anni ‘50 gli sbarchi dei militari con la bianca divisa di “Braccio di ferro” scemarono gradatamente. Erano quelli gli anni della guerra di Corea e della guerra fredda tra l’Occidente libero ed il blocco dei paesi comunisti. Una tenzone ideologica da cui si originarono, specularmente, la Nato (“North Atlantic Treaty Organization”) e il Patto di Varsavia (1955). Per la sua strategica posizione nel Mediterraneo, Napoli fu designata quale sede del Comando “Allied Forces Southern Europe”. La principale sede logistica fu installata nel Collegio Costanzo Ciano a Bagnoli, costruito dal Banco di Napoli per ricordare il 400° anniversario della sua fondazione. Benito Mussolini. che ne era stato il promotore, intendeva così dare un tangibile segno del radicale cambiamento dell’assistenza che dalla mera filantropia si avviava ad essere un problema di solidarietà nazionale. La “Città degli scugnizzi” era in grado di ospitare 2500 ragazzi meno abbienti, ai quali lo Stato garantiva un tetto e assicurava loro l’apprendimento di un mestiere. In realtà, inaugurata dal re Vittorio Emanuele III il 9 maggio del 1940, fu risucchiata dal vortice degli eventi bellici. Requisita, danneggiata e saccheggiata dagli stessi napoletani, il complesso non fu mai utilizzato per i suoi compiti istituzionali. Alla fine degli Anni ’50, per volontà politica, nonostante la dura opposizione della sinistra social-comunista che mal sopportava il radicamento delle forze alleate in città e della destra missina che protestava per la mancata utilizzazione del complesso per i suoi fini istituzionali, fu data in locazione alla Nato. Eccezion fatta per le portaerei e le navi da guerra che spesso stazionavano in rada e per qualche solenne parata su via Caracciolo delle truppe (statunitensi, inglesi, francesi, turche, greche, canadesi, scandinave, italiane) che costituivano il contingente militare del Patto Atlantico, la presenza americana era alquanto discreta. Distinta e distante dal corpo sociale della città. Tutta compresa tra l’ex Costanzo Ciano, l’ospedale militare di Agnano ove nel 1973 furono distribuite ai napoletani migliaia di dosi di vaccino anticolerico, la base aerea di Capodichino, i tre edifici adibiti ad uffici nella parte alta di via Caravaggio, le scuole e le palestre nel primo tratto di via Manzoni ed il campo da golf del Carney park all’interno del Campiglione… Neanche la contestazione giovanile ed il “Yankee go home” dei “maoisti de noantri” riuscirono ad alterare le condizioni di tale equilibrio. Una convivenza che trovò, nell’imponente e spontanea partecipazione popolare che accompagnò John Fitzgerald Kennedy nella sua visita ufficiale a Napoli, il momento più alto.

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La visita di Kennedy a Napoli

Un mito, quello di Kennedy, che, nonostante il fluire del tempo, continua a non perdere smalto. Il vento della beat generation, tuttavia, soffiava forte e portava con se una diffusa ostilità alla guerra in Vietnam, il rifiuto del materialismo e la ricerca di una libertà affrancata dai pregiudizi, dalle convenzioni borghesi, dall’ipocrisia bacchettona dominante. Era l’America di Bob Dylan e Joan Baez, di Jack Keouac e Allen Ginsberg, il mito ed il sound della West Coast che irrompeva nel nostro quotidiano. In quegli anni incontrai di nuovo gli americani. Avevano le forme delle gioiose ragazze pon pon e degli esuberanti giocatori di basket che si esercitavano sul campo all’aperto dell’American school di via Manzoni. E fu a due passi da lì, nel pub di via Caravaggio, dove si respiravano atmosfere a stelle e strisce, che conobbi l’hamburger e la birra scura gelata servita in enormi boccali. Questi frammenti d’America, con la complicità delle suadenti note della musica country in sottofondo, avevano il potere di proiettarmi negli immensi spazi delle praterie, tra i pinnacoli rocciosi della Monument Valley, sulla tolda di un flemmatico battello del Mississippi. In una calda estate presi a frequentare un gruppo di marines. Erano reduci del Vietnam e le cicatrici che portavano incise sui loro corpi testimoniavano gli orrori di una guerra senza senso, l’innaturale sbocco del consumismo materialista del “sogno americano”.  Fu grazie a loro che anche per me si dischiusero i cancelli di accesso alla base Nato di Bagnoli. Superata la corta gradinata sulla cui sommità un tempo svettava la statua di Costanzo Ciano, rimasi colpito dall’ampiezza degli spazi e dall’architettura razionalista degli edifici che definivano la grande piazza marcata dalla stele littoria e dall’arengario della palazzina comando e poi, lo stadio, le palestre, la chiesa, il teatro. E seppure alte garrivano le bandiere degli Stati della Nato, il complesso architettonico nelle sue forme, nel rapporto tra il costruito ed il verde ricordava fortemente l’Italia autarchica di Mussolini. L’America con le sue suggestioni, i colori, la grafica, le pin up, la si trovava invece nell’informale Circolo sottufficiali dalle pareti tappezzate di crest e Stars and Stripes, negli stores, dove solo gli invidiati dipendenti della base potevano acquistare a prezzi strabilianti ogni ben di Dio, nei mercatini dell’usato alimentati dal turn over dei militari e dove chiunque poteva comprare a prezzi di assoluto realizzo long playing, annate di playboy, indumenti, libri e quant’altro poteva essere stato utile alla permanenza partenopea del militare Usa, allo stadio con le parate delle Cheerleader e degli atleti rigonfi per la pesante attrezzatura di protezione imposta indossata per l’american football. Uno spaccato di vita americana nel cuore virgiliano dei Campi Flegrei. Una ricostruzione dissoltasi dopo oltre mezzo secolo per ragioni di ordine politico ed economico. I primi ad essere dismessi furono gli edifici su via Caravaggio e via Manzoni. Successivamente, per motivi di sicurezza, anche il quartiere edificato nella conca di Agnano per concentrare uffici ed attività nei pressi del comando di Bagnoli fu abbandonato. Stessa sorte per il complesso dell’ex Costanzo Ciano rientrato da oltre un anno nella piena disponibilità della Fondazione Banco Napoli. Della little America ormai non vi è più traccia. Al suo posto riemerge dal passato una città nella città. Quella che non a torto fu definita la “Città degli Scugnizzi” e che rappresentava negli Anni ’40 un’avanguardia rivoluzionaria nel campo dell’assistenza sociale. Ad oltre un anno dall’ultimo ammaina bandiera, si mostra ancora nuda, svuotata di ogni funzione. E con l’emigrazione di questo brandello d’America sono andati persi i canoni di locazione che permettevano alla Fondazione Banco Napoli, seppur indirettamente, di dare assistenza ai ragazzi meno abbienti. Nessuno sa che farne. Regione e Comune brancolano nel buio più totale. Altro che liberazione demagistrisiana. La mancanza di una missione di largo respiro da assegnare all’intero complesso e dei fondi per la sua manutenzione ordinaria determinerà senza alcun dubbio, l’ennesima storia di ordinario ed inqualificabile degrado. Del resto, Napoli è piena di edifici d’interesse storico abbandonati all’inesorabile opera demolitrice del tempo senza che ciò susciti scandalo o risentite reazioni. Tutto scorre come “the river of no return“.

nuova nato

La Nato di Giugliano

 

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2 pensieri su “C’era una volta l’America …

  1. brunella

    Bravo Lidio! Hai descritto molto bene la storia, ricca di dettagli… mi hai fatto rivivere ricordi dell’ epoca ed ho anche appreso particolari che non conoscevo affatto( via manzoni…)Complimenti per l’enfasi nella descrizione, piacevolmente romanzata, che mi ha fatto leggere l’articolo in un sol fiato.

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  2. Giovannella Sansone

    Una realtà amara dell’ennesimo degrado di Napoli illustrato con grande acutezza da Lidio Aramu . Grazie Lidio per i tuoi ricordi storici che riconducono ad un epoca in cui il valore morale si rifletteva anche sulla nostra città. Scrivi un libro ….. Grazie !

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