Ingoierò una palla di lana, e non parlerò più. Mi basterà un sottotitolo: io sono innocente
E parlo dell’uomo esistente dal vero, autonomo in quel reame dimensionato nella fantasticheria, con la coscienza finemente corrotta dalla sua astrazione mentale.
Chi, a suo tempo, introdusse la notizia giornalistica non avrebbe mai immaginato di creare una religione. Un grado supremo di giudizio: avendo o meno la conoscenza dei fatti. Non avrebbe mai creduto che dando la possibilità di raccontare degli accadimenti avrebbe risvegliato: nevrosi, psicodrammi privati, onanismi, frustrazioni in esseri ossessionati dal fragore. E così un foglio di giornale è diventato il ritrovo della congregazione del ghigno. Ogni forma sembra si innalzi, si metta a rilievo, ti sfotta, ti condanni, ti esponga alla gogna.
Scrivere, articoli di cronaca in particolare, è diventata un’impresa volutamente distruttiva, un’alterazione degli eventi per vendetta o personale goduria. L’accaduto viene abbandonato all’equivalente del creatore degli inganni, a quel tiranno che sa vivrà sempre sotto luce, ma che si sente forte come fosse il Dio degli Ercoli.
Non gli manca nulla per completare il suo esaltato vocabolario, è sufficientemente stupido. Non è crudele sia chiaro: perché la crudeltà sa ben raggiungere i livelli del sapere e della scienza. Il suo è un semplice valore vigliacco: sembra gli abbiano dissolto il midollo, lasciandogli, nella schiena la canna del nulla. È un uomo asservito al furore cieco della legge, senza avere idee: macina solo uomini, privo com’è di ogni dubbio, di ogni scrupolo.
È alla sua mano rozza che hanno affidato l’usura del pensiero, e giammai si dica non abbia saputo accontentarli. Io credo sarebbe un bene che lui iniziasse a onorare i vocaboli, dimenticandoli tutti. È in piena epilessia quando ha una foto, una notizia e il corredo dei nomi. Si innalza sul trono e ci sta, superbo: come fosse riuscito a separare l’aria inferiore da quella superiore, il bene dal male. La sua invece è un’opera da parassita, un’eccedenza fastidiosa. Io credo che dentro al suo petto sia irriverente anche la vergogna.
Il meccanismo della giustizia dovrebbe proteggerci, imporgli un’etica professionale, ovvero: di non pubblicare foto segnaletiche; di riportare solo le iniziali degli indagati o imputati; di non annunciare con certezza una notizia che ancora merita di indagini e di processi; di non influenzare con giudizi propri l’opinione pubblica, tantomeno quella giudiziaria; di non riportare mai, evitando così di creare falsi quanto inadatti miti, i nomi dei giudici che conducono indagini e processi.
Di riportare insomma semplicemente la notizia tenendo a bandiera il doveroso e intimo rispetto per le persone: mantenendo il riserbo sulle identità fino alla condanna definitiva. Ma sarebbe da saggi, da normalmente civili. Diceva Cioran che l’ingiustizia non è un mistero, ma un’evidenza universale ed è quanto di più palese ci sia quaggiù. Ma è tutto inutile e io sono al cordoglio: il giornalista è un fido caprone, una mente nuda”.
datemi un termine
comunemente buono
che sia diverso dall’incubo
voglio renderlo incomprensibile
perfino alla memoria
voglio sia talmente elevato
da pacificare la mia cella
come avviene con le invocazioni o con le parole d’Amore
inedito de “La parabola del mio esilio“ tratto da
“Le prove di esilio di Michele Caccamo e Franz Krauspenhaar”
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Grazie
LP
Emozionante !