Franz Krauspenhaar

Franz Krauspenhaar

Scrittore e poeta milanese di origine tedesca per parte di padre, madre calabrese. Autore poliedrico, attento alla forma e alla varietà delle esperienze letterarie possibili.

Prandelli, il prete  che ci ha lasciato in mutande 
Disfatta azzurra, Italia vigliacca dentro e fuori dal campo 
di Franz Krauspenhaar

Prandelli, il prete che ci ha lasciato in mutande

di Franz Krauspenhaar

Questo è stata la disfatta mondiale più terribile della storia azzurra. Peggiore della spedizione per mare del 1950 (la squadra, suggestionata dalla tragedia di Superga, s’era fatta spedire in una navigazione infinita fino a Rio che aveva rammollito gli uomini), peggiore del Ko inflittoci dalla Corea del dentista-goleador.

Peggiore del ritorno a casa dalla Germania, in un “Pane e cioccolata amara” degli eroi di Messico 70, al primo turno. No, tutte le altre volte c’era stata un po’ di dignità, e ora quello straccio bagnato di dignità non è più tra noi. Anzi, tra loro.

Un paese triste, sfiduciato, derubato e frustato a sangue da una politica irresponsabile e serva fino al masochismo: ed ecco, come biglietto da visita, la Nazionale e la Federazione di questo Mondiale. Fatta di piccoli giocatori, che poi sono piccoli uomini, che alla fine del breve tour scaricano il barile sui più deboli, come il complessato Balotelli, in un terrificante “Prandelli-coltelli”. Scaricare il barile sull’altro, non ammettere mai davvero i proprio errori se non a disastro compiuto, in una conferenza stampa, quella di Prandelli, ipocrita e falsa quanto ipocrita e falso è stato ed è lui.

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Prandelli con l’abito talare

 

Un uomo molle, intimamente pauroso, per nulla un leader, un allenatore fallito da gran tempo, un Don Abbondio- pelota style. Si è sentito tradito, poveretto. Il paese gli aveva voltato le spalle proprio dopo la sua riconferma. Il paese, i tifosi, l’ambiente, non lo sopportava più. Uno che con il ben conosciuto “stile Juventus” s’era creato l’alibi per farsi dei cannoneggianti cazzi suoi.Basta guardare la formazione del Mondiale: possibile che il cuore della difesa dovesse essere fatto integralmente da quei modesti pirati in bianconero? Nessun coraggio, solo il “coraggio”, alla fine della triste e folle corsa, di dimettersi citando le tasse che lui paga, e dicendo che è stato trattato “da politico”, come se questo fosse stato un atto d’infamia. Ma un uomo pubblico come lui, un uomo che dirige la Nazionale di calcio del suo triste paese ormai in ginocchio, se non ancora economicamente, di sicuro moralmente, è in certa misura un politico, o meglio crea situazioni politiche, atti che inevitabilmente diventano politici.

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Prandelli, 1 milione settecentomila euro netti all’anno

 

La squadra azzurra è lo specchio di una nazione “kaputt”, invasa da tutte le parti, schiava delle decisioni di Bruxelles e di Berlino. Ma noi non dobbiamo starci. Rialzare la testa anche dal punto di vista calcistico? Sarebbe il minimo. Ma non ce la sentiamo di fare questo felice e irreale pronostico. Il “sottile” Abete e il pretonzolo bresciano Prandelli hanno fatto un comodo harakiri dopo aver distrutto tutto. E’ soprattutto loro la colpa. Ma questa gente, ricordiamocelo bene, cade sempre in piedi.

Cesare Prandelli e Novella Benini su Vanity Fair.

Prandelli e Novella Benini in copertina

 

Non è così importante cambiare tutti i giocatori, anche se una rifondazione è necessaria. Bisogna ricreare uno stile, una vera e propria morale di comportamento. Anche se può non piacere a certi rivoluzionari da sofà televisivo e non, dobbiamo puntare sugli uomini. Uomini, sì, non bamboccioni dipinti come indiani da Carosello. Lasciamo stare Balotelli, chiuso nel suo rancoroso borbottìo: in fondo non è una vittima, è solo un capro espiatorio momentaneo, buono per l’occasione, per permettere a gentaglia come Buffon e De Rossi (i cosiddetti senatori) di sputare una buona volta il loro veleno sui più giovani e così compiere il “gesto tecnico” a loro più congeniale: lo scaricabarile, rigorosamente all’italiana.

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Prandelli e la panchina della nazionale

 

Speriamo che questi siano i loro ultimi giorni in Nazionale, che prendano e spariscano dalla storia azzurra, rimanendo come meritano nell’albo d’oro. Se questa Nazionale non è stata mai amata le ragioni sono molteplici, ma ora siamo già prepotentemente al dopo, perché nulla, per fortuna, resta. Vogliamo sognare una Nazionale di uomini, vogliamo provare ad avvicinarci a quelli dell’82. Anzi, dobbiamo provarci. Preferibilmente con Roberto Mancini alla guida.

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