Luisella Pescatori

Luisella Pescatori

Attrice e scrittrice, attenta alle tendenze, alla moda ma soprattutto alla Bellezza, in tutte le sue forme ed espressioni. “L'eleganza di pensiero è Arte” questo il suo motto, il suo mood

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C’è posta per te
Umanizziamo il carcere

 di Luisella Pescatori

Una riflessione  sul tema assai dibattuto della carcerazione ed in modo particolare su uno degli aspetti che più aggrediscono l’animo dei detenuti: cioè il senso di abbandono, una violenza psicologica perpetuata con il contributo dell’intera società indifferente. lettere-1Il carcere è una cella, un microspazio promiscuo, angusto, inospitale e affollato dove il vocabolo intimità viene immediatamente abolito da ogni dizionario. Un dizionario mutilato di tutte le voci più soavi e belle del linguaggio degli uomini, rese mute, private di ogni suono ed espressione. L’intimità di cui parlo non è quella che si può ricondurre ad una dimensione fisica ma parlo di un’esigenza emotiva nel rapporto fra esseri umani. Si ha bisogno quindi di quei vocaboli che riequilibrino tutto quello di cui si è stati privati. Il carcere è una forma di alienazione mentale vissuta nello spazio infinito dell’attesa, dove i rapporti epistolari hanno un’importanza rituale. Sono il gate di accesso alla vita che ancora pulsa fuori. Sono l’abbraccio costante con gli affetti che restano e resistono al dramma. Eccone una testimonianza:

“Mia piccola cara, mi svegliano verso le 4, le 5. Poi c’è la passeggiata fino alla mia gabbia dove sono da solo e resto 25 minuti all’aria aperta, il che è un favore, contemplo gli uccelli e il cielo e le cime degli alberi tutto lo spettacolo del mondo affascinante dei viventi. Non mi muovo molto perché sono sempre debole e soffro di leggere vertigini. Finita la passeggiata, torno in cella dove aspetto il pranzo. Resto con la testa tra le mani, mi trovo meglio così, penso agli affari miei e anche a pièces teatrali che faccio e disfaccio. Dopo pranzo, se non ho troppo mal di testa, lavoro alla storia delle nostre disgrazie che sto scrivendo. Ecco ben presto la cena e la malinconia del giorno mi casca addosso. Ma posso ancora fuggire dal mio stato “secondo” se si può definirlo così e leggere e scrivere un poco.”

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Louis-Ferdinand Céline e “Bebert”

Questa è una lettera che Louis-Ferdinand Céline segregato nel 1945 per 14 mesi nel carcere di Vestre Faengsel, invia a sua moglie.
Le lettere hanno l’aspetto salvifico della continuità. Sono estremamente importanti. Una prioritaria oggi costa 70 centesimi, perché non agevolare la corrispondenza con i detenuti facendo tariffe speciali per esempio a 50 centesimi? 20 centesimi in meno possono sembrare un’inezia, ma in carcere tutto costa tanto e risparmiare 20 centesimi a lettera non è cosa da poco.

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E perché non fare sì che viaggino con un’altra celerità e con tracciabilità? I detenuti si sentono persi se non ricevono lettere, e anche chi invia lettere in carcere si sente impotente, contro un tempo ed un sistema fallace, se queste non vengono recapitate. In quelle lettere si ritrovano le parole cancellate dal vocabolario della detenzione, parole dette amore, dette affetti, dette speranze, dette vicinanza, dette costanza, dette intimità, dette sogni, dette empatia, dette compagnia. Semplice leggerezza dell’anima. E al massimo tre francobolli. Oltre è vietato. E sono l’unico strumento di contatto consentito con l’esterno, oltre ai colloqui che sono però limitati a poche ore al mese e sono concessi solo per famigliari e per avvocati.
È però nella lettera a Bébert che Céline esprime in modo più incisivo lo sconvolgimento di emozioni e sentimenti che si scatena nella vita carceraria ed io trovo ispirazione per una proposta inusuale.
“Mio piccolo micino, tu pensi davvero che io non mi renda conto del mio grado di solitudine? Perdinci! Ne avrei a volumi di “solitudini” da raccontare. L’orrore della prigione fa il resto e, ti assicuro, fino in fondo. Purtroppo non ho più molti anni ma dei mesi, da vivere per vomitare tutto quello che ho inghiottito in questi mesi di rancore, di Umiliazioni e di odio – un odio a morte, al di là della morte – per questa spaventosa ingiustizia.”

INDULTO: DAP, DA CARCERI USCITI IN QUASI 29.000 LETTERA SOTTOSEGRETARIO MELCHIORRE A COMMISSIONE SENATO
Bébert! Il famoso gatto tigrato, di dimensioni ovine, di Céline. E qui mi viene spontanea una domanda: ma perché nessuno ha ancora regolamentato l’accesso degli animali da compagnia ai colloqui in carcere? In America già lo fanno, e in Italia qualche pioniere del colloquio a 6 zampe c’è: il pastore tedesco Igor al quale fu concesso, negli anni di Piombo, di incontrare in carcere il suo padrone Sergio Segio, leader di Prima Linea, la boxer Lola nel carcere di Livorno, il setter irlandese Red a Perugia, Attila nel carcere di Teramo ed una american staffordshire di nome Caterina nel carcere di Bologna.

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