di Gerardo Mazziotti
L’Expo di Milano sarà visitata da 25 milioni di persone, provenienti dai 144 paesi partecipanti alla rassegna su “Nutrire il Pianeta, Energia della Vita ”. Dal 1° maggio al 31 ottobre 2015 si discuterà su “il diritto di tutti gli abitanti della Terra a un’alimentazione sana, sicura e sufficiente, alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica della filiera alimentare e alla salvaguarda del gusto e alla cultura del cibo“.
Sarà un evento straordinario, pari alla Esposizione Universale di Londra del 1851 (famosa perché Joseph Paxton vi realizzò il Palazzo di Cristallo, considerato il primo esempio di architettura in acciaio e vetro), a quella di Parigi del 1883 ( dedicata al centenario della rivoluzione francese, celebrata con l’altissima Torre in ferro di Gustav Eiffel ), a quella di Barcellona del 1929 (Mies van der Rohe vi progettò lo stupendo padiglione della Germania, che non esponeva nulla ma era il monumento di se stesso), all’Expo di Bruxelles del 1958 ( 30 milioni di turisti accorsero ad ammirare l’Atomium, una gigantesca costruzione panoramica dedicata alla Scienza e all’Atomo, costituita da nove sfere in acciaio e vetro, rappresentative dei nove atomi del ferro, collegate da scale mobili all’interno di grandi aste tubolari).
Avrei potuto, e forse dovuto, citarne altre ma ho voluto limitarmi a quelle che, secondo me, hanno dato un particolare contributo allo sviluppo scientifico dell’umanità. E alla nascita dell’architettura moderna. L’Expo milanese sarà colta come l’occasione per richiamare l’interesse dei visitatori sul patrimonio storico e artistico e, sopra tutto, sulle “ specialità culinarie” di altre città del nostro paese. Perciò Venezia, Genova, Firenze e Palermo si stanno organizzando per richiamare milioni di turisti sulla bellezza delle loro chiese, dei loro palazzi, dei loro musei e, in linea col tema dell’Expo, per fargli gustare i manicaretti della loro cucina. Margherita Yourcenar nel suo “Memorie di Adriano” ha scritto “la preparazione del cibo è il risultato di un’arte, esattamente come quella del musico o del pittore”.
Napoli può offrire la bellezza del suo centro storico e del suo lungomare e, sopra tutto, lo splendore dell’isolotto di Nisida. Un dono del Padreterno precluso da sempre anche ai napoletani. “ Simile al bimbo dalle tonde guance vermiglie, che non osa ancora dilungarsi dalla madre, tu emergi tutta grazie dal grembo delle onde scherzose, e ti stringi con puerile timidezza alla tua madre, la terra”. Con questi bellissimi versi, tradotti e riportati da Benedetto Croce nel suo “ Storie e leggende napoletane ”, si rivolge un poeta tedesco all’isoletta antistante il litorale di Coroglio. Chiamata dagli antichi con quel semplice diminutivo di “Nesis” ne hanno descritto il fascino naturalistico Stazio, Lucano, Ateneo e Plinio.
Vedere oggi questo meraviglioso patrimonio naturale destinato a un carcere minorile (25 ragazzi e 70 sorveglianti) nonché ad altre estranee e assurde destinazioni d’uso è motivo di indignazione in quanti ( io tra questi) ritengono che l’isolotto debba essere dato alla quotidiana fruizione dei napoletani e dei turisti. E che debba avere una utilizzazione economica, in grado di contemperare la salvaguardia delle bellezze naturali con l’esigenza di attrezzarla in modo che possa produrre occupazione e ricchezza. Sarebbe ora di superare l’anacronistica teoria della conservazione improduttiva dei beni ambientali, architettonici, storici e culturali. Tra le attrezzature turistiche, da realizzare nel rispetto assoluto dei valori paesaggistici, dovrebbe esserci un grande ristorante dove poter gustare “i famosi “asparagi” di Nisida, una prelibatezza divina ( scrive Croce) decantata da Marziale, Catullo, Barcinio e Matteo Bandello e gustata da Bruto, da Cicerone, da Giovanni Piccolomini, dal Clero napoletano, dai Vicerè spagnoli, da Gioacchino Murat e dai Borbone”. Una occasione che il sindaco de Magistris non dovrebbe lasciarsi sfuggire. Chiuderebbe positivamente la sua esperienza amministrativa.