Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

Il “Cavaliere di Toledo”  di William Kentridge         (foto Daniela Petrecca)

L’ira dei Cavalieri di Toledo

di Lidio Aramu

Il “Cavaliere di Toledo” è un’opera d’arte realizzata da William Kentridge in acciaio corten, alta sei metri. Alla sua installazione suscitò, come sempre accade in queste occasioni, sentimenti oscillanti tra l’aspra critica e la convinta approvazione.

 

Il “Cavaliere di Toledo”  di William Kentridge         (foto Daniela Petrecca)

Il “Cavaliere di Toledo” (Daniela Petrecca)

Alcuni la definirono “mostro di latta”, altri non mancarono di associare la denominazione dell’opera alla leggenda dei cavalieri di Toledo, mitologici personaggi che a Favignana nel XV secolo, posero le basi di quel sistema criminale che nei secoli si è diffuso in tutto il Sud tirrenico, ed oltre, e che assume, a seconda della regione di radicamento, l’appellativo di camorra, cosa nostra e ’ndrangheta.

Tuttavia il tempo ha svolto il suo lavoro ed il destriero rampante dalle forme essenziali e metalliche è entrato a far parte a pieno titolo del paesaggio urbano. La stata equestre, infatti, collocata in prossimità della stazione metro di Toledo, per costituire un valore aggiunto a quella che universalmente è stata definita “la più bella stazione d’Europa”, purtroppo è stata momentaneamente cinta d’assedio da un enorme addobbo natalizio e da un orrendo box office di una multinazionale della telefonia mobile e fissa. Che tristezza a vederlo così…

La  Vittoria  di Arturo Martini - Palazzo della Posta centrale -             (Archivio Marcello Canino)

La “Vittoria” di Arturo Martini – Palazzo della Posta

Del resto la scarsa sensibilità culturale delle amministrazioni comunali è datata e documentata dalle indecorose condizioni in cui versano i siti storici della città, dove persino lo stesso verde pubblico, progettato senza criteri, offende o nasconde piuttosto che esaltare il valore monumentale delle architetture non ultime quelle del Rione Carità. Un luogo ove il binomio arti figurative ed architettura ricorda la stretta e feconda collaborazione tra architetti ed artisti legati alle avanguardie.

Negli anni Trenta lo Stato fascista assunse un ruolo centrale nelle questioni urbanistico – architettoniche e artistiche svolgendo la duplice funzione di organizzatore e committente. S’instaurò così tra il Regime e gli artisti una sorta di simbiosi mutualistica dove lo Stato s’impegnava alla “tutela economica degli artisti, sia eccellenti, sia mediocri” – come sostenne Giuseppe Bottai in una famosa intervista al Corriere della Sera – mentre gli artisti abbandonavano il chiuso degli studi, delle accademie e delle biblioteche per cercare “la migliore ispirazione artistica … partecipando in pieno all’esistenza del popolo”.

Vittorio Di Colbertaldo -  La fraternità delle armi  - padiglione AOI  Triennate d'Oltremare

Vittorio Di Colbertaldo “La fraternità delle armi”. Triennale d’Oltremare

In quegli anni – e gli edifici pubblici del Rione Carità ne sono un esempio – nel finanziamento delle opere pubbliche si contemplavano fondi specifici, ben prima che fosse promulgata la legge del 2 per cento, da destinare alla decorazione e gli artisti, pur controllati dal sindacato, godevano così di vaste opportunità di lavoro potendo contare su una miriade d’iniziative, dai concorsi locali gestiti dall’Opera Nazionale Dopolavoro alle grandi mostre nazionali.

Ancora oggi negli imponenti edifici sorti sulle macerie della Corsea è possibile ammirare le opere d’arte scaturite dalla sinergia littoria tra politica ed arte. Il palazzo della Posta Centrale, progettato da Giuseppe Vaccaro, con la gigantesca “Vittoria” di Arturo Martini. Il grande edificio realizzato da Camillo Guerra per la sede dei mutilati e degli invalidi di guerra, ove si possono osservare ai lati del portale, due “stecche” formate da otto pannelli scolpiti dal senese Vico Consorti (a sinistra) e dal napoletano Giuseppe Pellegrini (a destra) per ricordare i caduti ed i feriti della guerra di Libia, della Grande guerra e della rivoluzione fascista. Al sommo di un enfatico scalone, infine, si staglia la statua della “Vittoria vigilante” dello scultore genovese Guido Galletti.

Antonio De Val  Allegoria dei Lavori Pubblici  - Palazzo del Genio Civile     (foto Cynthia Rich Canino)

Antonio De Val  Allegoria dei Lavori Pubblici  - particolare - Palazzo del Genio Civile     (foto Cynthia Rich Canino)

Antonio De Val Allegoria dei Lavori Pubblici – particolari – Palazzo del Genio Civile (foto Cynthia Rich Canino)

Il palazzo della Provincia di Marcello Canino e Gerardo Chiaromonte con il bronzeo portale scolpito da Carlo De Veroli. A questi potremmo aggiungerne altri: la stazione Marittima con gli affreschi di Alberto Chiancone (America e Africa) e Pietro Barillà ( Asia ed Europa), i due cavalli rampanti e le quattro formelle in bronzo di Carlo De Veroli (3) ed Antonio De Val (1);  la sede del Genio Civile con i bassorilievi di Antonio De Val con un’allegoria dei lavori pubblici; la sede centrale del Banco di Napoli, quello dell’Ina in piazza Carità.

La  Vittoria fascista  di Vincenzo Meconio e Pasquale Monaco

La Vittoria fascista di Meconio e Monaco

Il momento più intenso della collaborazione tra gli architetti e gli artisti coincise con la realizzazione dell’Esposizione Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare. Oltre al gotha della “Prima tra le Arti”, rappresentato da uno stuolo di giovanissimi architetti tra i quali primeggiavano Marcello Canino, Carlo Cocchia e Luigi Piccinato, circa centocinquanta artisti tra pittori, scultori e decoratori furono coinvolti per tracciare un nesso di continuità tra l’impero di Roma e quello di Mussolini. Nei padiglioni, nelle piazze, sulle facciate bene in vista furono realizzati bassorilievi, affreschi e statue: i trofei di armi romane di Enzo Puchetti in piazza Roma; la grande statua di Roma navale di Attilio Selva, nella Mostra di “Roma antica sul mare”; Antonio De Val con la Vittoria alata e Oscar Grottini con un grande affresco riproducente armi abissine nella Mostra dell’Impero; il loggiato del Teatro Mediterraneo affrescato da Alberto Chiancone e Pietro Barillà con un’allegoria dell’arte, della famiglia, della scienza e del lavoro; il Cervo di Rodi, simbolo della città del Dodecanneso, di Ettore Sannino; l’alta statua della Vittoria fascista realizzata da Vincenzo Meconio e Pasquale Monaco; i mosaici – Scene di caccia – di Enrico Prampolini sulla facciata del Ristorante della piscina e – Figure musive- di Nicola Fabricatore sul frontone dell’Arena flegrea; Vincenzo Ciardo e Giovanni Brancaccio con imponenti affreschi; le maioliche di Paolo Ricci sulle pareti dell’Acquario Tropicale di Carlo Cocchia. La tirannia dello spazio purtroppo non consente di formulare una rassegna completa delle opere e degli artisti che imposero la Triennale all’ammirazione incondizionata di quanti ebbero modo di visitarla.

Franco Girosi  Le opere del Regime -Auditorium del Palazzo degli Uffici - Triennale d'Oltremare        (archivio Marcello Canino)

Franco Girosi “Le opere del Regime” Auditorium del Palazzo degli Uffici. Triennale d’Oltremare

Di quello sterminato patrimonio artistico resta ben poco: gli affreschi di Emilio Notte e Franco Girosi nell’Auditorium del Palazzo degli Uffici di Marcello Canino; gli affreschi restaurati di Giovanni Brancaccio nel Cubo d’Oro e quelli meno fortunati di Chiancone e Barillà sul loggione del Mediterraneo; il mosaico del Prampolini; il Cervo di Rodi e alcune figure musive di Fabricatore salvate dalla totale distruzione nell’opera di rifacimento dell’Arena Flegrea dell’allora presidente della Mostra Raffaele Cercola e forse, al di sotto delle pareti imbiancate di quello che fu il padiglione dell’Albania, potrebbero ancora trovarsi gli affreschi di Primo Conti e Gianni Vagnetti.

Enzo Puchetti -  Trofeo di armi legionarie  - Triennale d'Oltremare   (archivio Marcello Canino)

Enzo Puchetti “Trofeo di armi legionarie”

Nicola Fabricatore -  Figure musive  - Arena Flegrea - Triennale d'Oltremare

Nicola Fabricatore “Figure musive” Arena Flegrea

Ma a Napoli, come nel resto d’Italia, il compito delle arti figurative non si esauriva con la decorazione dei palazzi di Stato. L’arte – in tutte le sue manifestazioni – era ritenuta in quel tempo un efficace strumento per ridurre le distanze – laddove sussistevano – tra il popolo ed il Fascismo, per elevare il tasso di cultura generale, “per elevare le condizioni – come allora si scriveva – morali e spirituali delle masse”.

Attilio Selva -  Roma navale - Mostra di Roma antica sul mare - Triennale d'Oltremare         (Archivio Marcello Canino)

Attilio Selva “Roma navale”

In questo clima, si determinò una sorta di competizione tra gallerie d’arte, accademie, il sindacato delle belle arti, la Soprintendenza, il Guf, l’Ond, il fascio femminile e numerosi enti minori, nella programmazione e realizzazione di mostre d’arte, testimonianze palpabili e pulsanti della nuova Italia di Mussolini. Tra le tante si ricordano la Mostra su Giacinto Gigante, la II Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, la Mostra Tre secoli della pittura napoletana.

Tanta vitalità artistica e culturale pur necessaria è oggi assolutamente impensabile. Le istituzioni culturali e politiche napoletane hanno ben altro a cui pensare, cosicché la promozione delle arti, prive di ogni valore sociale, è tornata ad essere appannaggio quasi esclusivo dell’iniziativa privata, delle gallerie, dei mercanti d’arte. Eppure la legge 11 maggio 1942, numero 839, nota ai più come la Legge del 2 per cento, frutto di un intenso dibattito culturale alimentato da Giuseppe Bottai sulle colonne di “Primato”, è ancora vigente col titolo Norme per l’arte negli edifici pubblici, legge 29 luglio 1949, numero 717.

Alberto Chiancone e Pietro Barillà -   Arte, Famiglia, Scienza e Lavoro  - Teatro Mediterraneo - Triennale d'Oltremare                              (Archivio Marcello Canino)

Alberto Chiancone e Pietro Barillà “Arte, Famiglia, Scienza e Lavoro” Teatro Mediterraneo

Una legge che per carenza di finanziamenti, dubbi interpretativi e scarsa convinzione sull’utilità d’inserire opere d’arte nell’edificio per migliorarne gli standard estetici, è stata ampiamente disattesa ed utilizzata spesso in modo distorto.

Una sala della Mostra delle Repubbliche marinare - Triennale d'Oltremare                          (Archivio Marcello Canino)

Una sala della Mostra delle Repubbliche marinare

A Napoli però, con la Metropolitana dell’Arte siamo andati ben oltre i dubbi, le carenze di finanziamenti e la stessa legge del 2 per cento, assegnando al primo termine del trinomio arte-architettura-funzionalità un valore assolutamente dominante. Cosicché le pregevoli stazioni dell’Arte nel loro insieme si configurano come un singolare ed esteso museo d’arte contemporanea e rendono il metrò napoletano il più bello d’Europa. Ma non il più efficiente.

 (Le foto sono dell’archivio Canino. La foto di copertina è di Daniela Petrecca)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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2 pensieri su “L’ira dei Cavalieri di Toledo

  1. Gaillemin

    Molto interessante la loro contrubuzione alla conoscenza di Milano. Une question per lei, dovo sono andati les bellissimi mosaici di Nicola Fabricatore sul’Arena Flegrea ? Mi recordo que io le ho visto nelle anni 1990, o encora quatro foto que io aveva preso segretaamente percho in questo tempo, l’area era prohibito. Scusi per il mio italiano, e grazie per la sua risposta

    jlg

    Replica
    1. LIdio Aramu

      Egregio Gaillemin,
      nel corso del rifacimento dell’Arena Flegrea, l’opera di Nicola Fabricatore è andata quasi completamente perduta. Alcune scene superstiti si possono ammirare nel foyer del teatro.

      Replica

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