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Italia & Italicum. Teste vuote e aule vuote

di Gianpaolo Santoro

La fotografia dell’Italia è la fotografia dell’Italicum. Ci siamo, ecco finalmente, il grande scontro sulla legge elettorale, quella che divide la democrazia dalla democratura, quella di qui “o si fa la legge o si muore”, la battaglia finale fra il Pd e tutti gli altri partiti e fra i renziani ed una parte del Pd, la legge inclusiva diventata divisiva, il confine che segna il futuro del Paese e del governo, insomma di tutto o di più, non c’è altro.

 

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Mancano 4 miliardi dai conti (perché la  Spending review cambiano i personaggi, resta la solita chimera) ma chi se ne frega, la legge elettorale, la legge elettorale: è questo quello che conta. Ci sono gli esodati che ancora invocano giustizia, c’è il mondo della scuola in subbuglio che si accinge a scendere in piazza per protestare contro l’ennesima riforma della riforma, ci sono i sindacati che per la prima volta nella loro storia sono scatenati contro un governo di sinistra, c’è il debito pubblico che continua a salire nonostante promesse e intendimenti? Ma no, ma no: la legge elettorale, la legge elettorale, altrimenti il Paese già ferito a morte è condannato definitivamente. Presto, bisogna fare presto. E, finalmente, comincia quest’ultima battaglia alla Camera. E che cosa succede? L’aula è deserta. Desolatamente deserta. Volgarmente deserta. L’interrogativo è: ma in che Paese viviamo?

E, naturalmente, è una riflessione che va al di là dalla vicenda dell’avvio al dibattito parlamentare sulla legge elettorale, il nostro Parlamento ormai è una rappresentazione vuota di democrazia.

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Giovanni Lo Porto

Venerdì era deserta l’aula per le comunicazioni del governo su Giovanni Lo Porto, volontario in una Ong,  ucciso tre mesi fa al confine tra Afghanistan e Pakistan da un bombardamento di droni Usa contro un rifugio. Quei posti vuoti, uno schiaffo al Paese. Indecente. Qualcuno penserà “mai così in basso..” Ma, purtroppo, niente di nuovo nelle nostre aule parlamentari. Anche nel giugno 2013 quando l’allora ministro della Difesa Mario Mauro venne chiamato a riferire in Parlamento dell’attentato in Afghanistan in cui era morto il capitano Giuseppe La Rosa, l’aula era tristemente deserta. Colpevolmente, incivilmente deserta.

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Montecitorio, il corridoio dei passi perduti

I frequentatori del corridoio dei passi perduti, sanno bene che lunedì e venerdì, sono giorni “tecnicamente” non agibili: i parlamentari sono nei collegi (una volta quando c’erano le preferenze funzionava così, ora forse saranno vicini ai leader per ottenere la riconferma della nomina) ed a Roma a Montecitorio non c’è nessuno. Ma questa non è certo una “giustificazione”, anche perché le aule vuote, in sono una consuetudine vergognosa.

In Italia si parla ovunque, in televisione, sui giornali, alla radio, su Twitter e su Facebok, tranne che in Parlamento che, ironia della sorte, sarebbe il luogo preposto per parlare, confrontarsi. La discussione sollecitata da più parti sul tema della sicurezza col ministro degli interni sull’onda della strage di Parigi, il commando a Charlie Hebdo si è svolta in un’aula desolatamente vuota.

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Maurizio Lupi

 

Vuota, sempre vuota l’aula, dopo giorni intensi di polemica quando il ministro Maurizio Lupi (ed era successo anche con le dimissioni da ministro dell’agricoltura Nunzia De Girolamo) ha rassegnato le dimissioni dopo la vicenda del Rolex regalato al figlio dopo l’esplosione dello scandalo delle grandi opere dove ognuno aveva voluto dire la sua, dove tutti avevano riscoperto l’etica della politica al di là degli avvisi di garanzia e altre ipocrisie del genere in un dibattito incomprensibile e surreale.

++ Renzi,il tema 3% oggettivamente anacronistico ++

Renzi, il premier-segretario

Torniamo all’Italicum, venti persone in aula per lo scontro finale. E Renzi scrive una lettera al Pd. “Nel voto di queste ore c’è in ballo la legge elettorale, certo. Ma anche e soprattutto la dignità del nostro partito. La prima regola della democrazia è rispettare, tutti insieme, la regola del consenso interno. Quando ho perso le primarie, ho riconosciuto che la linea politica doveva darla chi aveva vinto. Adesso non sto chiedendo semplicemente lealtà; sto chiedendo rispetto per una intera comunità che si è espressa più volte su questo argomento, a tutti i livelli. Perché questa legge elettorale l’abbiamo cambiata tre volte per ascoltare tutti, per ascoltarci tutti. Ma a un certo punto bisogna decidere”.

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Indro Montanelli

Non so perché ma mi viene in mente quello che scrisse Indro Montanelli su “il Corriere della Sera” ad lettore che gli chiedeva quali “differenze” vi fossero fra mafia e partiti. “Le differenze sono in sostanza due. La prima riguarda i metodi di selezione. Nei partiti vengono eliminati gli uomini migliori, nella mafia no. Nella mafia non si diventa pezzi da novanta se non si hanno certe qualità. La seconda differenza riguarda la tecnica della lotta di potere. Che anche dentro la mafia questa lotta ci sia, e spietata, non c’è dubbio. Ma essa segue un regolamento e dei rituali che rendono per lo meno inequivocabili gli schieramenti. Nella mafia non c’è confusione: l’amicizia è amicizia e l’inimicizia è l’inimicizia, entrambe irrevocabili. I due campi sono nettamente separati, tant’è vero che su chi lo cambia si abbatte un castigo inflitto secondo procedure che lo rendono esemplare. Nei partiti le amicizie sono tutte “a termine”. Vengono imbastite per eliminare un comune nemico, con cui si fa lega per eliminare l’amico. Il passaggio di campo non espone a nessun castigo perché è coonestato da una sottintesa “licenza di tradire”. Non ci sono soldati riconoscibili per la loro bandiera ma soltanto dei travestiti impegnati in una quadriglia dalle figure perpetuamente congianti. Ma a questo punto – concludeva Montanelli – non mi fraintenda, caro Signore. Con ciò che le ho detto non voglio dire che la mafia è meglio dei partiti. Voglio soltanto dire che i partiti sono peggio della mafia”.

 

 

 

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