Daniela Iorio

Daniela Iorio

Filosofa, giornalista, webmaster e web content manager

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La filosofia del cancelletto

di Daniela Iorio

“Dotto’ e come hashtag che mettiamo sul seipertré?”. “Asc-chee???”. “L’hashtag, dottore: la frase-chiave che deve identificare la sua campagna elettorale. Su facebook, su twitter, tutti scrivono allegando lo slogan ai messaggi, e nel contenitore virtuale restano elencati tutti gli assensi, le foto, gli inviti al voto. Come fa Renzi, no? Ha presente il famoso #staisereno? Ma ci pensate che successo se decine e decine di persone lo usano?”. “Ah… ho capito, ho capito… ehm… embè: diciamo che #facciamosquadra, usiamo questo”.

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Deve essere più o meno questo il tenore dei colloqui tra creativi ed aspiranti politici dell’era 2.0. La mania dilagante del cool, del sentirsi social a tutti i costi, è stata debordante in questa tornata elettorale. Ma talvolta ha rasentato il grottesco e più in generale ha rappresentato un mero esercizio di teoria comunicativa senza alcun effetto-traino sulla reale efficacia della campagna di propaganda.
Basta andare a spulciare, su twitter o su facebook, uno qualsiasi degli slogan con cancelletto che si scorgono roboanti sui manifesti elettorali.

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Effettivamente, se non ci si lascia prendere dall’istinto entusiastico del concetto di “catena umana” (questo significa in termini pratici) trasposto nel mondo virtuale, l’appello e il successo della propaganda comunicativa sta tutto sotto l’hashtag. Un “cancelletto” che in qualche modo punta a sostituire il filo diretto della richiesta- voti “porta a porta”, è la sintesi per eccellenza.  Ma quante insidie si celano nell’uso scomposto di quel simboletto grafico…

Il cancelletto, immediato indice di comunicazione giovane e mediatica, un sistema di veloce condivisione pensato a misura dei tempi. Peccato però che la condivisione in “bacheca”, sotto un unico “tag” per tutti, sia unicamente un modo per partecipare ai tempi ed essere presenti sui principali socialnetwork: molti hashtag di candidati, e lo abbiamo registrato, soprattutto, nelle ultime competizioni amministrative regionali e comunali, risultano completamente vuoti o inizialmente inaugurati da un misero tweet. L’importante non è che siano convincenti o funzionali ad un messaggio ed un programma politico: l’importante è attrarre l’attenzione, senza porsi la necessità di essere credibili (che pur dovrebbe essere l’esigenza primaria). Altrimenti come si potrebbero scoprire hashtag epocali come #oraomaipiù? (siamo per caso giunti al Giudizio Universale?) Insomma un provincialismo alle prese maldestre con le reti sociali: “fare rete” è un proposito che ogni politico si prefigge. Ma ci sono ancora troppi dilettanti allo sbaraglio.

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L’hashtag , parola dell’anno 2012 secondo la American Dialect Society, quando viene utilizzato nel modo giusto può essere uno straordinario, immediato, veloce messaggio. Barak Obama ha aperto nuove frontiere, quelle che comunemente vengono chiamate “Social Media Election” le prime elezioni dove le piattaforme 2.0 hanno giocato un ruolo fondamentale, da protagonista. Già perché negli Stati Uniti se nel 2008 la Rete fu elemento importante per l’elezione di Obama, nel 2012 è stata certamente determinante per la riconferma.

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E questo perché Facebook e Twitter, tra i più noti social media, sono ormai parte integrante della vita delle persone e del nuovo dibattito politico. Ormai anche in Italia molti politici pensano ai social network come strumenti per lanciare propri slogan e conquistare attenzione. E questo perché quando si coinvolgono i cittadini in un dibattito, quando azzerando spazi, strutture e filtri, si può partecipare semplicemente con un click, azzerando gerarchie, si ottiene sempre un consenso altissimo. E solo chi riesce a creare partecipazione, ad ascoltare tutti, può ottenere un vero consenso che poi si riflette anche in adesione elettorale.

Una nuova significativa frontiera di comunicazione, insomma, ma dalle nostre parti però ancora usata in molti casi maldestramente.  Ed allora scopri #hashtag buoni per tutti, da destra a sinistra, per candidati giovani e vecchi, una massificazione che rende meno credibile il messaggio.

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Vincenzo De Luca ha proposto come slogan, poi utilizzato a largo giro dai suoi sostenitori come tag “cavallo di battaglia” , il fiero “#atestaalta”.

In pratica riproponendo quello delle scorse Europee 2014 di Giorgia Meloni e del suo neonato partito Fratelli d’Italia, gli ex Alleanza Nazionale che uscivano dal Popolo della Libertà. E così si ritrovano sinistra e destra sotto la stessa filosofia, Pd e Fratelli D’Italia scegliere una bandiera unica…

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Come il caso delle primarie del Pd in Calabria nel 2014, sostenute anche dal ministro Maria Elena Boschi, l’hashtag #lagiustadirezione l’abbiamo ritrovato poco dopo accanto alla faccia di Angelino Alfano per celebrare glorie, fasti e successi del Nuovo Centro Destra. Vabbè che sono alleati di governo, ma come, anche in questo caso, possano andare nella stessa direzione Sinistra e Destra, che si professano alternativi, è un bel mistero. Ma siamo abituati a queste incongruenze: ricordate le “convergenze parallele” di Aldo Moro, forse l’ossimoro più famoso della nostra politica?

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Per non parlare del conteso #ilvotoutile utilizzato quest’anno per le propagande elettorali sul sito di Forza Italia, con Berlusconi a sostegno dei candidati regionali in tutta Italia, e contemporaneamente da Luca Ceriscioli presidente eletto del Pd. Nelle Marche saranno rimasti con un dubbio tremendo: qual era il voto utile, a sinistra o a destra?  Richiami opposti che ingenerano confusione. Disorientamento.

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Obama, Renzi e gli hastag

Il re indiscusso dell’hashtag della nostra politica resta il premier Matteo Renzi, l’uomo dal tweet più veloce del Paese , che con ”rottamazione”,  “cambia verso” e “stai sereno” si è aggiudicato gli hashtag più performanti e ormai legati indissolubilmente alla storia del suo fulmineo percorso politico. Hashtag senza possibilità di riciclo da altri, hanno l’inequivocabile copyright del renzismo.

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Sono divenuti cioè simboli del linguaggio renziano. Salvo poi farsi prendere troppo la mano e scrivere parole errate all’interno degli hashtag; il tweet di Matteo dello scorso due giugno riportava Repubblica con una sola “b”, veloce fu l’insurrezione del web. Ma la giustificazione probabilmente c’è: se Matteo Renzi avesse avuto cultura umanistica e non “umanista” ed una “scuola davvero buona”  probabilmente avrebbe aggiunto l’indispensabile seconda “b”. Ma parlare al Premier di scuola in questo periodo è impossibile…

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