di Franco Esposito
Gino Bartali torna a correre. Nel senso che una squadra ciclistica con il nome indimenticato campione ha corso la Bike 4 Chal, negli Stati Uniti. Gino e la bicicletta, il suo mezzo, il cavallo d’acciaio, la sua vita, come un ponte gettato tra l’America e Firenze.
Partita da Samford, nel Connecticut, la Bike 4 Chal si è conclusa sulle Catskill Mountanis, nello stato di New York. Le montagne care ai super del pugilato, i campioni che lassù andavano a preparare nel silenzio solenne della montagna le loro imprese. Mike Tyson l’ultimo grande personaggio del ring presente a Catskill Moutains.
La corsa non è identificabile solo come un meraviglioso toccante tributo alla grandezza del ciclista Gino Bartali. È molto di più, va al di là della celebrazione del campionato fiorentino, che ha fatto sognare intere generazione di sportivi e ricompattato l’Italia con la vittoria al Tour de France del ’48. Il Paese era precipitato nel buio di una possibile imminente guerra civile in seguito all’attentato a Palmiro Togliatti.
A Roma il giovane calabrese Pallante aveva sparato al numero uno del Partito Comunista. Togliatti ferito e ricoverato; subito acciuffato l’attentatore. Mentre l’aria profumava di rivolta e di guerra. Gino Bartali dominatore dei mitici passi alpini e vincitore di tappa: l’impresa servì a calmare i bollenti spiriti, auspice la telefonata al campione dell’allora presidente del consiglio Alcide De Gasperi.
A New York una squadra porta appunto il nome di Ginettaccio. Ispiratore e ideatore della costituzione del team Jonathan Fredman, ebreo ortodosso cresciuto a Brooklyn. Dichiarato il “Giusto tra le nazioni”, come da riconoscimento del sacrario israeliano, Bartali si rese protagonista del salvataggio di una famiglia di ebrei nascondendola ai fascisti sanguinari in una casa di Gavinana.
L’episodio è parte integrante del memoriale israeliano delle vittime dell’olocausto fondato nel 1853. Durante la Seconda Guerra mondiale, Gino trasportò documenti falsi, nascose una famiglia e così salvò centinaia di ebrei dalle bieche persecuzioni del regime fascista. Una storia commovente, meravigliosa, che Ginettacco tenne nascosta per tutta la vita. L’ha riportata alla luce, a distanza di decenni, un testimone diretto, Giorgio Goldenberg. Hanno portato a lui le indagini condotte da un giovane giornalista fiorentino, Adam Smulevich, sostenuto nella sua certosina ricerca da Sara Furnaro, assessore al welfare del comune di Firenze.
Bartali e il suo segreto svelato sono diventati un documentario: “My italian”, del regista Joe Perella. I nonni di Jonathan Freedman, di Brooklyn, sono sopravvissuti all’olocausto. E quando il suo barbiere, Salvatore Macrì, un calabrese, gli ha presentato il regista Perella, lui era già preparato a quello che avrebbe visto nel film. “Avevo gli occhi giusti. Sapevo solo che dovevo rendere omaggio alla storia e condividerla. Diciamo che mi ha preso in un modo sorprendente”.
Impiegato presso un fondo d’investimenti e appassionato ciclista nelle ore libere, Jonathan Freedman ha pensato che la bicicletta potesse essere il veicolo più adeguato per far correre il messaggio. Visto il film di Perella, si è impegnato nelle ricerche sul web, ha incontrato testimoni e letto libri. In uno, Roard Valor, è citato anche il giornalista Adam Smulevich. Alla fine è riuscito ad agganciarlo su twitter. Il loro incontro si è rivelato fondamentale. Il giovane giornalista fiorentino non è stupito dal fatto che la favolosa storia di Gino Bartali continui ad essere fonte di ispirazione. Uno straordinario campione grande protagonista del Novecento, Ginettaccio, che ha segnato la storia dello sport italiano ed europeo. Ma non è questo che stupisce il giovane giornalista fiorentino. “Commuove che ci siano persone lontane, negli Stati Uniti, che spinte da forti valori e spirito di concretezza, riescano a portare avanti azioni così significative”.
In NordAmerica, Bartali e la sua storia sono più che mai attuali. Anche il popolare Gino può quindi ritenersi un moderno eroe dei due mondi, grazie a questa storia struggente, coperta a lungo da impenetrabile segretezza, che ha salvato la vita di tanti ebrei. Gino Giusto perché è bello sapere che una persona così nota e così amata abbia compiuto determinate grandi azioni. Questo aiuta a tenere vivo il messaggio di Gino. Bartali è ormai sinonimo di umanità. Un risultato straordinario, altro che le vittorie sui traguardi d’Italia e di Francia. Gino Bartali maglia rosa e maglia gialla innanzitutto nella vita.
La storia di Gino e delle sue imprese in guerra hanno corso con le bici in gara nella Bike 4 Chai, nel Connecticut. Hanno girato con le gambe dei corridori, rappresentando l’Italia migliore. Quella delle buone azioni e della solidarietà disinteressata.
Un piccolo mondo che non c’è più. Gesti e storia di Bartali salvatore in guerra di migliaia di ebrei ha avuto due eccezionali testimonial. Propagandisti incredibili, George Hincapie e Christian Vande Velde. Una maglia gialla del Tour de France e il quarto nella classifica finale della Grande Boucle 2008.
Il team Giusto Bartali si propone di divulgare un messaggio di riconoscenza alla famiglia Bartali e a tutti gli italiani “che hanno rischiato la vita per quella della gente ebraica”. Jonathan Freedman progetta di portare il team a Firenze, avendo già incassato l’invito di una Università Usa in Italia. Sarebbe l’occasione migliore per stringere la mano al figlio di Gino, Andrea, a compimento di quella che il team Giusto Bartali riterrà una missione compiuta.