di Giuseppe Crimaldi
E’ ancora troppo presto per dire se l’ultimo morto ammazzato a Napoli – un vigile urbano di 60 anni – sia l’ultima, l’ennesima vittima di una camorra spietata e inarrestabile. Forse dietro il suo omicidio c’è dell’altro, o forse no, ma questo importa solo a chi dovrà risolvere il giallo. Fatto sta che la spirale di violenza e l’ondata di sangue che continua a scorrere in città sembra non trovare più argini capaci di dar tregua e riparo allo tsunami
A Napoli si ammazza un giorno sì e l’altro pure. Con buona pace di chi – non senza colpevole ottimismo – continua a liquidare tutto andando a raccontare la favoletta dei “quattro parassiti, pidocchi” che infestano un tessuto fondamentalmente sano.
Da qualche settimana ci hanno mandato l’Esercito, a Napoli. E non è cambiato niente: a riprova del fatto che non è militarizzando le strade dell’inciviltà che le si riporta in un contesto normale. Lo sanno tutti i bravi poliziotti, carabinieri, finanzieri, e soprattutto lo sanno i bravi magistrati costretti al silenzio dalla vulgata imposta dai soliti noti : qui nemmeno piazzando un carrarmato ad ogni angolo di piazza o vicolo che sia, nemmeno allora si riuscirebbe a stroncare lo scippo, la rapina, il furto in abitazione, l’incursione violenta di una baby gang, e tantomeno l’agguato mortale.
Ma di fronte a queste evidenze innegabili la cecità di una intera classe dirigente e di quanti avrebbero il dovere istituzionale (e prima ancora morale) di replicare almeno con uno sforzo di immaginazione – o se vogliamo con uno slancio di fantasia – è forse il male peggiore.
Lo dicono le statistiche: mentre nel resto d’Italia l’asticella che segna il trend degli omicidi si abbassa, qui da noi continua a salire. La camorra di strada, quella fatta di bande di lazzaroni che se ne vanno in giro con la pistola nella cintola dei pantaloni, è il volto nuovo e più mostruoso che sta lentamente uccidendo Napoli. Napoli, città nella quale – scomparsa l’aristocrazia – non restano che due interlocutori: i lazzaroni nati per delinquere e un ectoplasma di borghesia incapace di battere un colpo, di farsi notare, di seminare un germe di primavera civile, come pure e persino a Palermo avvenne dopo gli attentati a Falcone e Borsellino.
Ecco, se vogliamo questa è la nuova Questione Meridionale napoletana: una miscela di insipienza e d’incapacità, una indolenza sonnacchiosa che continua a consentire al proletariato meno alfabetizzato d’Italia e sempre più sprofondato negli abissi della sottocultura che si nutre di falsi modelli (Gomorra, i neomelodici, il guadagno immediato e facile, l’assenza di valori meritocratici, l’alibi della disoccupazione e la strafottenza che è nei geni di chi pretende il lavoro senza volerlo veramente) che sta per esplodere. Inutile domandarsi a chi convenga questo stato di cose.
E quante prodigiose carriere – molte delle quali costruite proprio sulle barricate dell’antimafia di professione – si sgretolerebbero se davvero si facesse la lotta alle cosche. Catturare i latitanti, condannarli all’inferno del 41 bis o sequestrare un chilogrammo di cocaina non basta più. Perché per ogni spazio lasciato vuoto ci sarà la fila di giovani e giovanissimi lazzaroni pronti ad occuparlo. Sarà bene che qualcuno se ne faccia una ragione e lo capisca. Perché l’argine della diga sta per cedere, e quando succederà sarà troppo tardi per tutti.