Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi, 54 anni, giornalista, scrive di cronaca nera e giudiziaria per Il Mattino. Autore del volume "Napoli è servita" e coautore dei libri "Il Casalese", "Al mio Paese - Sette vizi, una sola Italia" e "Mafie". Dirige il sito della Federazione delle associazioni italiane antiracket la rivista online "Lineadiretta". Collabora come docente al Master di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa.

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Il cuore dell’odio

di Giuseppe Crimaldi

Molenbeek -Due fermate di metropolitana separano l’Europa dall’Islam. Cinque minuti, tanti ne servono per raggiungere Molenbeek dal quartiere della Borsa, cuore pulsante della Bruxelles che cerca di rianimarsi dopo gli attentati di marzo

Molenbeek

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Il Belgio è un caso unico e a modo suo anche patologico tutto da studiare.

E’ la nazione europea dalla quale parte il più alto numero di “foreign fighters” verso la Siria e l’Iraq che si uniscono ai soldati del califfato nero: centinaia di ragazzi che lasciano l’occidente, la loro casa, la loro famiglia e si avventurano in quel tunnel senza luce che è l’Isis.

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Salah Abdeslam

Qui a Molenbeek sono nati e cresciuti Salah Abdeslam, Najim Laachraoui e molti dei protagonisti delle stragi di Parigi e degli attentati del 22 marzo all’aeroporto di Zaventem e alla stazione della metropolitana che si trova a due passi dagli uffici della Commissione europea.

Imbucarsi per le stradine di questo quartiere diventato il quartier generale per migliaia di marocchini, tunisini, egiziani, algerini, sudanesi, equivale a capire che cosa rischia di diventare l’Europa delle facili accoglienze, di una tolleranza spesso non dovuta – almeno a chi non la merita – e, dunque, a fotografare l’istantanea di ciò che è già realtà.

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Benvenuti in Eurabia. Cammini e ti accorgi che questo è un quartiere espropriato, invaso, occupato, nel quale i belgi nemmeno si accostano. Una piazza Garibaldi alla decima potenza: con la differenza che alla Ferrovia vedì sì la succursale del Maghreb, ma almeno ci trovi anche i napoletani.

Invece no. Qui a Molenbeek per chilometri non ci sono altro che loro, e macellerie rigorosamente hilal, e bazar caotici, e bar coi tavolini ai quali siedono esclusivamente gli uomini a bere il tè, perché alle donne sarebbe vietato anche solo accomodarsi per bere un bicchiere d’acqua.

Molenbeek è anche il fortino di bande criminali che hanno in mano il mercato degli stupefacenti. Qui lo spaccio dell’hashish e della cocaina che entrano tranquillamente  a vagonate ogni giorno dalla vicina Olanda è nelle mani dei marocchini. Un monopolio che rende.

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Nelle notti di Bruxelles è facile imbattersi in Ferrari e Lamborghini guidate proprio da giovani arabi che hanno fatto soldi facili con la droga.

E tutto questo è stato tollerato per decenni dalle autorità belghe, almeno fino al risveglio tragico di quel 22 marzo.

A Molenbeek non sentirai parlare il francese o il fiammingo, ma solo l’arabo. Non leggerai un’insegna di locale o esercizio commerciale francofona. Non troverai un ristorante degno di questo nome. Le donne, anche le più giovani, continuano a girare intabarrate nei niqab e nei chador. I ragazzi, invece, adorano i jeans di Armani, Dolce e Gabbana, usano Iphone di ultima generazione ed esibiscono sfrontatamente tutti quegli accessori che solo l’odiatissimo Occidente produce ed è in grado di offrire loro.

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Giuseppe Crimaldi

Poca voglia di parlare dei fatti del 22 marzo, e guai a pronunciare l’Isis. Ti voltano le spalle e sputano per terra, non potendoti sputare in faccia.

Eurabia è anche questo, e qui a Molenbeek il disprezzo verso gli europei si tocca con mano. “Sono arrivato in Belgio 40 anni fa – spiega Kamal, uno dei primi a venire ad abitare in questo quartiere-ghetto dopo aver lasciato il Marocco – e qui ho sempre lavorato. Nelle miniere, insieme a voi italiani. Oggi prendo una buona pensione e godo di tutti i privilegi (a cominciare dai servizi sanitari, che funzionano perfettamente, ndr).”

“Torno in Marocco due volte l’anno – continua Kamal – e solo fino a un paio di anni fa non avvertivo gli sguardi pesanti che invece adesso mi rivolgono i belgi anche solo quando salgo su un tram o vado all’aeroporto. La colpa è di questi pazzi, i giovani che hanno rovinato Molenbeek avvelenandosi con alcol e droga. Vieni a vedere che cosa combinano di notte, dal venerdì alla domenica. Le radici del radicalismo sono impure e nascono anche da comportamenti che nulla hanno a che fare con il vero Islam“.

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Sarà anche così, ma allora qualcuno dovrebbe spiegarci dove fossero i nonni, le madri e i padri di questa generazione di “wanna-be-jihadist” fatti di canne e con l’alito puzzolente di birra che si fanno poi esplodere.

Molenbeek diventa così il paradigma di questa Europa all’incontrario, sbagliata, e soprattutto da contenere prima che le sue tossine infettino quei pochi tessuti sani rimasti. L’emblema di un’Eurabia che poi inevitabilmente genera i mostri del lepenismo, le battute di caccia all’immigrato degli skinhead e le campagne d’odio razziale.  L’emblema dell’integrazione che non c’è.

 

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Un pensiero su “Il cuore dell’odio

  1. gerardo mazziotti

    anche i terroristi jadisti della metropolitana londinese erano nati a cresciuti nella capitale britannica;
    la tolleranza europea è eccessiva e produrrà effetti devastanti; non so cosa bisognerebbe fare ma dovrebbe essere fatto per impedirlo.

    Replica

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