di Gerardo Mazziotti
Recita il primo articolo della legge numero 897 del 25 aprile 1938. “Gli ingegneri, gli architetti, i chimici, i professionisti in materia di economia e commercio, gli agronomi, i ragionieri, i geometri, i periti agrari ed i periti industriali non possono esercitare la professione se non sono iscritti negli albi professionali delle rispettive categorie a termini delle disposizioni vigenti.”
Nel clima antisemita di quegli anni il fascismo emanò la legge numero 897 del 25 aprile 1938 con la quale veniva stabilito che “Possono esercitare la professionale solo gli iscritti all’Albo; non possono essere iscritti e, se iscritti, devono essere cancellati coloro che non siano di specchiata condotta morale e politica”.
Lo scopo era quello di impedire l’esercizio professionale ai dissidenti, agli ebrei e agli omosessuali. E fino alla caduta del fascismo i professionisti antifascisti, quelli di religione ebraica e gli omosessuali furono costretti a lavorare in nero o a non lavorare affatto. Una vergogna. E “leggi vergogna” furono definite le leggi razziali di quegli anni che il Parlamento repubblicano si affrettò ad abrogare. Le abrogò tutte tranne una.
La legge 897/38 è ancora vigente non ostante l’inattualità della specchiata condotta morale e politica e non ostante il contrasto con l’articolo 18 della Costituzione che riconosce a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Del resto a nessuna delle archistar che hanno lavorato e lavorano nel nostro paese è stato mai chiesto il certificato di iscrizione all’albo professionale. Cito, per brevità, Zaha Hadid ( la stazione del Tav di Afragola), Santiago Calatrava ( la stazione del Tav di Bologna), Dominique Perrault ( la stazione del metrò collinare napoletano di Piazza Garibaldi ), Oscar Turquets ( la stazione del metrò collinare di via Toledo), Alvaro Siza ( la stazione del metrò collinare di piazza Municipio ), Anish Kapoor ( la stazione Montesantangelo della Cumana, pur essendo uno scultore e non un architetto ), David Chipperfiled (il palazzo di Giustizia di Salerno), Ricardo Bofil ( il Crescent di Salerno ), Oscar Niemeyer (l’auditorium di Ravello).
E le loro parcelle professionali sono state puntualmente liquidate. Aggiungo che nemmeno alle archistar italiane che hanno lavorato e lavorano all’estero ( Piano, Fucsas, Gregotti…) è stato mai chiesto se fossero o no iscritti all’albo professionale.
C’è stata però una eccezione. E ha riguardato il famoso architetto americano Richard Meier, insignito nel 1984 del Pritzker Prize, equivalente a un Premio Nobel per l’architettura. L’archistar partecipò al concorso internazionale per la progettazione della Chiesa di Dio Padre della Misericordia indetto nel 1995 dal Vicariato di Roma in vista del Giubileo del 2000. E lo vinse. Al momento di pagare la parcella un burosauro capitolino gli chiese il certificato di iscrizione all’albo, che non era stato richiesto nel bando di concorso. Avrebbe potuto associarsi a un architetto iscritto all’albo e avrebbe risolto la ridicola questione con una cena al cortese collega italiano.
Invece Meier si incaponì e chiese al Consiglio Nazionale Architetti di indicargli uno degli Ordini provinciali presso il quale sostenere l’esame di Stato per poi iscriversi al relativo albo. Il Cna avrebbe dovuto significare al burosauro capitolino la inopportunità di chiedere il certificazione di iscrizione a un Premio Nobel. Invece consigliò a Meier di rivolgersi all’ Ordine degli architetti di Napoli. Vi faccio grazia della sua scampagnata napoletana e della narrazione di un esame imbarazzante e paradossale. Che, manco a dirlo, venne superato brillantemente con immediata iscrizione all’albo e immediato rilascio del relativo certificato.
E fu così che Meier ottenne il pagamento delle sue spettanze professionali. Non so se è ancora iscritto all’albo degli architetti di Napoli. Lo escludo. So invece che l’allora presidente dell’Ordine conserva gelosamente i disegni d’esame che l’archistar gli dedicò in ricordo di quella “giornata particolare”.
Perciò è necessario e urgente che il Parlamento approvi il suggerimento di Luigi Einaudi “Gli Ordini possono anche rimanere per quelli che intendono iscriversi, l’importante è che venga eliminata la obbligatorietà della iscrizione ai fini dell’esercizio professionale”.
Dimenticavo di ricordare che LeCorbusier, il più grande architetto del 20° secolo, non era nemmeno laureato.
Gerardo,sei grande.E come s mpre le tue considerazioni sono inoppugnabili.
Suggerisci,cosa si uò fare?
Pensa,Benedetto Croce non potrebbe insegnare.Non era laureato.
Anche quello della validità legale del titolo di studio è argomento
esilarante che non ha alcun riscontro nel mondo.
Tuo Ernesto Scura