di Ottorino Gurgo
Dovremo aspettare il prossimo 19 giugno per aver chiara la mappa dei primi cittadini delle città nelle quali domenica scorsa si è votato. Ma mette conto svolgere sin d’ora, a mente fredda, qualche considerazione di carattere politico generale sull’esito di questa tornata elettorale
Non è vero, infatti, come sostenuto da Matteo Renzi, che gli italiani sono andati alle urne con l’esclusivo e specifico compito di eleggere i propri sindaci poiché – egli sostiene – l’ora delle vere scelte politiche sarà quella del referendum sulla riforma costituzionale in programma per il prossimo ottobre.
Andando alle urne, gli italiani hanno fatto conoscere il loro punto di vista sull’andamento politico del paese e lo hanno fatto in modo molto netto. Così netto da incidere, probabilmente, sulla futura fisionomia delle due coalizioni – centro destra e centro-sinistra – nelle quali si articola la vita politica del paese.
Quanti auspicavano che il voto del 5 giugno potesse fornire indicazioni volte a determinare un’alternativa tra una forza riformista e una forza moderata, hanno motivo di restare delusi. Diciamolo francamente, e non senza rammarico: l’Italia non ha nel suo Dna una simile contrapposizione di stampo europeo. Predilige contrasti netti, non privi di rissosità.
Quel che è accaduto a Roma, con il “flop” dell’”ipotesi Marchini” è, a questo riguardo, del tutto emblematico. Marchini rappresentava la tendenza moderata e dialogante in alternativa a quella radicale del duo Salvini-Meloni. Ebbene, nel consenso degli elettori questi ultimi hanno addirittura doppiato il povero Marchini cosicché da domenica il centro-destra si è ufficialmente trasformato in destra-centro con tutta quel che ne consegue e in cui di centro c’è davvero poco (o, forse, niente).
E la trasformazione non potrà esser priva di conseguenze, come privo di conseguenze non sarà il definitivo tramonto della leadership di Silvio Berlusconi che il voto amministrativo sembra aver definitivamente sanzionato.
Qual è l’alternativa ? Francamente, non se ne abbiano a male i due, ma né Salvini, né la Meloni ci sembrano all’altezza del compito.
Sul fronte del centro-sinistra la situazione non appare granché migliore. Prevale, anche qui, una linea di chiusura al dialogo, il che, tra l’altro, potrebbe rendere problematica la collaborazione con i moderati di Pierferdinando Casini e di Angelino Alfano (anche se costoro incontreranno sempre maggiori difficoltà nel rapporto con l’ex centro-destra, trasformato, come abbiamo detto, in destra-centro).
Insomma, mentre si allontana la prospettiva di un’alternativa (capace di trasformarsi in caso di emergenza in collaborazione) tra riformisti e moderati, quello che si va delineando è un quadro politico complesso nel quale il nostro presidente del Consiglio sarà costretto a muoversi su un terreno minato.
E alla luce di queste considerazioni vien da chiedersi se davvero Renzi pensasse quel che diceva quando affermava che il voto di tredici milioni di italiani (ridotti in realtà a molti meno a causa delle astensioni che, tuttavia, non rappresentano certo un segno di consenso per l’azione del governo) potesse essere considerato “un fatto locale” da non tenere nel dovuto conto.