di Carlo Alberto Paolino
Un fiume umano. Rabbia, dolore, impotenza. E speranza. A Chacaito, nella zona est di Caracas è stata guerriglia. Gruppi di incappucciati si sono affrontati con la Guardia Nacional, piazza Brion è stata lo scenario degli scontri. Lancio di pietre e corpo a corpo, lacrimogeni e pallettoni di gomma. Gli incappucciati sono entrati in azione in una zona al di fuori del percorso prestabilito per il corteo dii protesta degli organizzatori del Tavolo dell’Unità Democratica (Mud, coalizione antichavista). Il Venezuela è una polveriera. Ed è sempre più pronta ad esplodere
Tutti in piazza quindi (un milione secondo i partiti d’opposizione) affinché la commissione elettorale stabilisca la data del referendum revocatorio contro il governo del Presidente Nicolas Maduro.
Centinaia di migliaia di persone hanno invaso le strade della capitale Caracas, rappresentanze da ogni parte del Paese: dalla giungla amazzonica e dalle Ande Occidentali, un’unica voce: “revocatorio ya”. Un unico grido, per tutti la stessa sofferenza.
Eppure a molti è stato impedito di raggiungere la capitale. “Los Venezolanos mettono la propria vita e quella del paese nelle mani di Dio per un Venezuela libero e proiettato nel Futuro” ha detto padre Carlos della diocesi di San Cristóbal la capitale dello Stato di Táchira, nelle Ande. Padre Carlos guidava un gruppo di fedeli ma il loro pellegrinaggio verso Caracas è stato interrotto dalla Guardia Nacional. Niente da fare. Rispediti a casa. “Ormai non siamo ormai un paese libero. Ci impediscono anche di esprimere il nostro pensiero”.
Il popolo venezuelano manifesta per difendere l’articolo 350 della costituzione che recita: “il popolo venezuelano, fedele alla sua tradizione repubblicana, alla sua vittoria per l’indipendenza, la pace e libertà, disconosce qualsiasi regime oppressore dei diritti umani”.
Da cento giorni ormai il Cne (Comitato nazionale elettorale) ha riconosciuto la validità delle 409mila firme, raccolte dall’opposizione per indire un referendum revocatorio, il doppio della soglia minima.“Il numero di firme ha chiaramente superato il minimo necessario, il referendum può essere effettuato”, ha dichiarato Vicente Bello, coordinatore del Cne per le iniziative referendarie. Eppure non è ancora successo niente. E il tempo passa.
C’è una strada maestra da seguire, la road map prevede due tappe: 4milioni di firme (il 20 per cento delle liste elettorali) da raccogliere entro breve per la convocazione del voto. E poi l’obiettivo finale, i 7,5 milioni di voti da ottenere per destituire il presidente Maduro, l’erede di Cjavez. Ovvero, la metà più uno dei voti raccolti dal presidente nell’ultima elezione presidenziale del 2013, da lui vinta. La fine dell’incubo.
Ed è proprio questo che chiedono i manifestanti alla Commissione, quello di fare presto, di potere procedere con la seconda fase della petizione, insomma di andare avanti e non mantenere tutto in questa situazione stagnante. E’ una corsa contro il tempo. Ed è tutta qui la partita che si sta giocando.
Le opposizioni chiedono andare avanti nel percorso intrapreso: se il referendum sarà indetto prima del 10 gennaio 2017, infatti, si dovranno tenere subito nuove elezioni. Se invece si arrivasse a un referendum dopo quella data, il mandato presidenziale sarebbe già entrato negli ultimi suoi due anni e in questo caso la legge prevede che tocchi al vicepresidente (che sta con Maduro) proseguire con il governo del paese nel caso di una vittoria delle opposizioni alla consultazione, fino al 2019.
E tutto questo tenendo anche conto che la situazione del Venezuela è ormai drammatica, con quattro crisi che si inseguono e sovrappongono: una istituzionale, una economica, una politica e una sociale.
Seguiranno in questi giorni manifestazioni nelle varie città Italiane come supporto morale per far sentire la loro voce per i tantissimi italiani residenti in Venezuela che lottano contro Maduro. A Napoli, per solidarizzare con questa battaglia di libertà, è stato invitato anche il sindaco de Magistris (che in precedenza partecipò a manifestazioni filo governatrici Chaviste), a dimostrazione che si tratta principalmente di un problema umanitario e non “rivoluzionario”. Interpellato anche il governo Renzi per sollecitarlo a preoccuparsi dei tanti italiani che muoiono per mancanza di medicine e beni di prima necessità. Il Venezuela è allo stremo.