Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi, 54 anni, giornalista, scrive di cronaca nera e giudiziaria per Il Mattino. Autore del volume "Napoli è servita" e coautore dei libri "Il Casalese", "Al mio Paese - Sette vizi, una sola Italia" e "Mafie". Dirige il sito della Federazione delle associazioni italiane antiracket la rivista online "Lineadiretta". Collabora come docente al Master di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa.

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I fratelli Materazzo

di Giuseppe Crimaldi

E se Luca Materazzo fosse innocente? E se le indagini sull’omicidio dell’ingegnere brutalmente assassinato la sera del 28 novembre sotto la sua abitazione di viale Maria Cristina di Savoia avessero imboccato la strada sbagliata? Chi risarcirà a quest’uomo il danno giudiziario?

 Fino a prova contraria, e fino a una sentenza passata in giudicato, non esistono “presunti colpevoli” ma solo innocenti, e nemmeno presunti. L’onere della prova, qualunque sia l’accusa, spetta all’accusa.

 Quel maledetto lunedì di sangue e di orrore  io ero lì, alle otto di sera, a Chiaia. Mi colpì un particolare: avendo passato vent’anni e più a raccontare di omicidi, e morte, e sangue, posso testimoniare che la morte si trasforma in un macabro spettacolo al quale – normalmente – finisce per assistere una folla immensa di curiosi. Davanti ai corpi straziati dai proiettili dei killer della camorra ci sono in genere i bambini: i figli di nessuno abbandonati nei vicoli della Sanità, dei Quartieri spagnoli, di Scampia o di Ponticelli che si godono lo show, al di qua dei nastri rossi e bianchi sistemati dalle forze dell’ordine e stanno a delimitare la scena del crimine.

 

A Chiaia, quella sera, andò in un altro modo. Non c’era un condomino uno affacciato ai balconi e alle finestre ad osservare la morte di un innocente. Non uno. La morte – per violenta o naturale che sia – nel salotto buono della città non fa rumore e anzi ritrae gli spettatori da un orrore che è meglio dimenticare presto.

 

Ma torniamo a Luca Materazzo. Trentasei anni, una vita riservata immersa nella bambagia di una famiglia protettiva. Quali che siano i risvolti del delitto, e i suoi sviluppi che si attendono al termine degli esami scientifici (leggi Dna), ciò che non può meravigliare è l’atteggiamento degli inquirenti. La Procura ha iscritto nel registro degli indagati Luca, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio del fratello. Caino e Abele reloaded. Ma per inchiodare un assassino servono almeno due elementi: il movente e l’arma. Non ancora individuati.

 

E se Luca fosse innocente? Aspetteremo i risultati della Polizia scientifica, e solo dopo scioglieremo riserve e interrogativi. Anche perché ci chiediamo per quale motivo colui che è indagato dell’omicidio del fratello si sia volontariamente sottoposto agli esami del Dna sapendo di essere colpevole. Se fosse stato veramente lui a tagliare la gola all’ingegnere dopo averlo pugnalato per 32 volte, perché non costituirsi? Ne avrebbe tratto giovamenti in sede processuale. No, non esistono colpevoli in provetta, e tantomeno innocenti da laboratorio. Almeno fino a prova contraria.

 

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