Adolfo Mollichelli

Adolfo Mollichelli

Giornalista. Ha lavorato con il Roma ed il Mattino. Ha seguito, tra l'altro, come inviato speciale cinque Mondiali, altrettanti Europei, nove finali di Campioni-Champions e l'Olimpiade di Sydney

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Beati i palloni
che hanno giocato con Baggio

di Adolfo Mollichelli

Auguri Robi per i tuoi primi cinquant’anni. Auguri, inimitabile campione e uomo di dolcezza infinita. Semplice, genuino, cordiale, gentile. E va bene, una volta andasti contro te stesso, quando Arrigo Sacchi ti sostituì nel catino del Yaints Stadium di New York e tu, uscendo, gli rivolgesti l’ormai celebre: “Ma questo è matto!”. Nulla al confronto con la durezza con la quale io – baggiano tutta la vita – ho apostrofato chiunque osasse mettere in dubbio la tua grandezza. Imperavi e dividevi, altroché se dividevi! Durante il mondiale americano, tra noi inviati al seguito della Nazionale, si formarono tre veri e propri clan: gli scettici, i baggiani, gli antibaggiani.

CALCIO: BAGGIO, PRONTO A TORNARE A LAVORARE IN AZZURRO/SPECIALEGli scettici erano tutti quei colleghi che borbottavano: sì, la sua classe non si discute, però non incide più di tanto. Noi baggiani di ferro – Roberto Beccantini ed io, capi indiscussi del clan – non osavamo metterti in discussione, a prescindere. Gli anti-baggiani non erano pochi ed erano per lo più quelli che avrebbero voluto Roberto Mancini al posto tuo.

Che bestemmia! L’alfiere dei manciniani era Salvatore Tramontano, allora scriveva per il Il Tempo. Sapessi, caro Robi (ma lo venisti a sapere) che litigate tra me e Salvatore, fino ad anticipare lo slogan grillino e, insomma, ci lasciavamo ricambiandoci un tonico e fermo: ma vaffan(censura).

Per te, caro Robi, in quel mondiale americano di calore opprimente rischiai perfino l’arresto. Perché quando segnasti il tuo primo gol – ma che dico gol? una poesia – contro la Nigeria, anche i manciniani scattarono in piedi esultando. Eh no! cari miei. Seduti dovete restare, esulto io ed il mio manipolo di baggiani tutta la vita, solo noi ne abbiamo il diritto. E scattai urlando verso di loro e due poliziotti grossi come armadi a sei ante mi si avvicinarono con poca grazie e tanta brutalità. Gli spiegai che non avevo intenzioni belluine e capirono e comunque si piazzarono dietro di me senza più perdermi d’occhio.

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Caro il mio Robi, nelle conferenze stampa nella palestra della Pingry School ti tartassavano con domande che spesso erano freccette al curaro. E tu rispondevi con dolcezza ed educazione che erano (sono) connotati del tuo essere. Ma io fremevo. E una volta che ci allontanammo insieme, ti dissi: “Robertino, se fossi al posto tuo sai come risponderei? Gli direi: basta, io sono Baggio e voi chi diamine siete!”. Sorridesti e mi rispondesti: “Già, ma proprio non ci riesco”.

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Abbracciasti il buddhismo, una scelta più che religiosa, di filosofia di vita per uno schivo come te. Non eri con noi al mondiale nippocoreano e quella fu la vera sconfitta del Trap e di tutta l’Italia del calcio.

Pensa un po’ che i giapponesi grandi e piccoli con le loro immancabili Nikon ci chiedevano solo questo: ma dov’è Baggio? Sapevano e non sapevano, ma erano increduli. Fosse stato per i fans del Sol Levante avrebbero messo il tuo nome in cima alla lista dei convocati. “Non è possibile!” mormoravano, dirottando il loro interesse su Fabio Cannavaro che allora (15 anni fa) era di una bellezza unica.

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Robi, caro Robi. Eri al Milan quando a Napoli si tentò di portarti in azzurro. Alla vigilia di un Napoli-Milan il giornale mi inviò su per intervistarti. Parlammo, mi dicesti che a te non risultava nulla di concreto ma che saresti stato felice se un’eventuale trattativa fosse stata portata avanti. Quella chiacchierata tra noi si svolse dopo l’allenamento di rifinitura che il Milan effettuò nei pressi di Linate, poi partimmo insieme col volo per Napoli.

immagini.quotidiano.netMi parve di cogliere un velo di tristezza nei tuoi occhi. Giocavi poco o nulla in quel Milan allenato da Sacchi. Eppure, il vate di Fusignano ti chiedeva di fare quello che pochi sanno fare; indirizzare la palla laddove c’è un compagno che possa riceverla.

Durante quella rifinitura, Arrigo provò fino all’ossessione schemi da calci d’angolo. Sento ancora la sua voce: “Robertino, per piacere, la indirizzi sul primo palo tesa?“. E tu la mettevi lì. “Robertino, scusa, sul secondo palo leggermente spiovente“. E tu la mettevi lì. “Ancora Robertino, tagliata a centro area”. E tu la mettevi lì. Ed io dietro alla rete metallica che delimitava il campo pensavo: ma guarda un po’ il mio Robi che pazienza che ha. 

Fragile, dicevano che eri fragile. Dimenticando, fingendo di non sapere, che a 15 anni avresti dovuto smettere col calcio per quei ginocchi sfasciati che avrebbero indotto chiunque a dire: basta, ci ho provato. E invece sei partito dal dolore per deliziare quanti amano il calcio: veroniche, slalom di una leggerezza infinita, gol impossibili (per tutti gli altri, non per te), tocchi magici, traiettorie disegnate come sul tappeto verde di un bigliardo.

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Dicevano che eri fragile! Un insulto alla bellezza ed alla ragione. Tu sei sempre andato avanti percorrendo la stretta via del campione inimitabile. E irraggiungibile. Volevano a tutti i costi rinchiuderti nella cella di un ruolo definito. Non avevano capito niente.

Per il salace Platini eri un nove e mezzo, come a dire: un po’ attaccante e un po’ mezzala. Non era un complimento. Giocavi con dolcezza e felicità che ti si leggevano in viso e la scambiarono per timore. All’Avvocato suggeristi l’immagine del “coniglio bagnato” ma anche l’accostamento alla grandezza di un Michelangelo.

Dicevano che eri fragile! E sei stato l’ultimo attaccante italiano a vincere il Pallone d’oro. L’unico azzurro ad aver segnato in tre mondiali diversi (’90, ’94 e ’98). Firenze in fiamme, barricate e scontri con la polizia quando dal viola passasti in bianconero con il cuore in tumulto tanto da fare il gran rifiuto, il rigore che non volesti battere contro la Fiorentina. Una sommossa in tuo nome, per te che anni dopo (2010) avresti ricevuto il World Peace Award, il primo calciatore ad essere stato insignito del titolo di Uomo di Pace per la difesa dei diritti umani. Accadde ad Hiroshima, insieme con Nagasaki, città vittime dell’atomica, forse il più tragico evento nella storia dell’umanità.

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Sbocciasti nella tua Vicenza. Poi, la Fiorentina, la Juve, il Milan, il Bologna, l’Inter e per ultima la maglia del Brescia Duecentocinque volte hai fatto gridare: gol. “Ho dato tutto“, furono le tue parole quando tredici anni fa dicesti basta. E per sempre. Come Gigi Riva. Continui a ricevere proposte dalle televisioni ed a tutti dici: no, grazie.

Ti piace essere, non apparire. Ti piacciono le sfide da portare avanti, non le poltrone vuote come quella – presidente del settore tecnico della Figc – che lasciasti dopo tre anni quando ti rendesti conto che il tuo programma di trecento pagine era stato ignorato. Hai un nobile progetto da portare avanti legato ai giovani che si affacciano al mondo del calcio. Gli insegnerai come si fa uno stop, ma soprattutto come si fa ad affrontare la vita. Hai scritto: “Nessuno è più patetico di chi sta sempre a lamentarsi, l’umiltà conduce alla felicità”. Dopo un tuo gol da metà campo contro la Juve – giocavi nel Brescia – Carletto Mazzone disse: “Beati i palloni che hanno giocato con Baggio”.

Ciao Robi, auguri campione d’umiltà.

 

 

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