di Adolfo Mollichelli
Fratelli genoani, lasciateci passare. Il Napoli piega il vecchio Grifone con il più classico dei punteggi e vola già col pensiero a Madrid. Gol freschi. Apre Zielinski. Raddoppia Giaccherini al primo centro in azzurro.
Gemellati di tutto il mondo unitevi. Che poi, questi gemellaggi io proprio non li capisco. In linea di principio. Perché amplificano le probabilità di orazi e curiazi di demenza vestiti.
E credo che neppure Aurelio Primo li comprenda in virtù del suo essere monogamo. E poi, sono mica monozigoti? Stop.
In quarantamila e passa. Più per dare la spinta verso quella partita lì che per interesse vero e proprio per la squadra gemella di golfi, questo sì, e di mare che ristora e fa sospirare nel ricordo di bastimenti che partivano per terre assai lontane e però non c’era allora nell’America sognata come un miraggio il cerbero con capigliatura (falsa) tendente al senape e cravattona lunga fin dove non batte il sole e non credo che Marinella approvi.
Quella partita lì, nella città con la fontana di Cibele e di Plaza Mayor e di Puerta del sol dove le quadriglie degli studenti ti allietano nelle cuevas adibite a ristoranti.
Madrid: seis meses de invierno y seis meses de infierno. Convinto del calor del diablo pure Aurelio Primo il monogamo che ha visto in tv la sua creatura e quella gemella al calduccio del caminetto della speranza in un albergo sulle Dolomiti: sarà una sfida infernale.
Quella di mercoledì a Madrid, al cospetto del Real delle once (undici) coppe tra Campioni e Champions e che, personalmente, aborro perché fu cara al caudillo, talmente cara da tentare colpi e colpacci – spesso riusciti – a danno del Barcellona da sempre bandiera della Catalogna, non solo sportiva.
Accanto ad Aurelio Primo siederà nel palco real Diego Maradona e chissà se porterà bene, visto che in coppa Davis nulla ha potuto il pibe de oro e la sua Argentina s’è dovuta inchinare a Fognini che non è il massimo della goduria tennisticamente parlando.
E son sicuro che (oddio, penso a Don Backy che ha dovuto sopportare la versione neomelodica dell’immensità) Aurelio Primo spiegherà ai suoi giocatori come non farsi condizionare dal miedo escenico che provoca il Bernabeu. Da uomo di cinema.
Quasi un allenamento il secondo tempo del match tra il Ciuccio ed il Grifone.
Perché i fujenti di Sarri (per quella maglia dai colori di Madonna dell’Arco) s’erano meravigliati della resistenza – e neppure tanto passiva – che era durata una cinquantina di minuti e allora: basta, il gioco è finito. E tutto va come era logico che andasse. Perché una squadra (comitiva?) che era reduce da ben sette sconfitte consecutive non poteva certo evitare l’ottava. Solo che i gemellati ci avevano provato con l’uomo contro uomo e pressando alto avevano spezzato l’incantesimo. E i sarriani non riuscivano a triangolare come sanno, non riuscendo quasi mai a trovare lo spazio giusto per filare veloci e compatti verso il napoletanino Lamanna che finirà nell’arco della contesa col fare un paio d’interventi significativi.
Poi, Juric che ha faccia di zingaro e chioma fluente perde il portoghese Veloso e prima ancora l’argentino Gentiletti, entrambi per fragilità muscolare congenita e così gli resterà un solo cambio e, nel finale, si vedrà sulla scena il marocchino Taarabt che è un tipo strano: si fida della buona tecnica e vorrebbe fare tutto da solo, ovviamente non riuscirà che ad alzare polvere.
Napoli senza la catena di destra per le squalifiche di Hysaj e Callejòn. Poco male.
Maggio dai tatuaggi infiniti e Giaccherini che Conte chiamava Giaccherigno quando erano alla Juve non sfigurano al cospetto dei compagni titolarissimi. Giaccherini addirittura troverà il primo sigillo in campionato. Oddio, un timbretto apposto ad occhi chiusi su invito al bacio di Mertens che s’era giocato Burdisso come solo lui sa fare. Mertens il folletto, senza gol ma decisivo in entrambe le reti.
Perché prima di rendere felice e goleador Giaccherini, il belga più veloce che abbia mai visto – dopo Rik Van Looy che però correva in bicicletta su strada e su pista – aveva creato scompiglio in area del Grifone oramai ingrifato costringendo lo svedesino Hiljemark al rinvio dell’affanno.
E su quella palla vicina e lontana s’era avventato Zielinski: sinistro come uno schiocco e viva la Polacchia (da una commedia di Eduardo, non ricordo quale). Giochi fatti e nessun complesso di colpa per Insigne che aveva sciupato un paio di occasioni agli albori della sfida infinita tra gemellati che era destinata a finire nell’unica maniera logica: il successo, eppure netto, dei gemelli del golfo di Napoli. Mi ha meravigliato la prova incolore di Hamsik. Bentornato Koulibaly che ha smaltito il mal d’Africa. Rivisto Rog: il ragazzo c’è. La voglia matta di Allan. Rivisto anche Pavoletti, si fa per dire. Paracarro lo lasciai, paracarro l’ho ritrovato.
Fine della trasmissione. A Madrid ci vorrà ben altro Napoli e Sarri lo sa bene. Il Real è blanco. Il Napoli è azzurro. A proposito: ma che fine hanno fatto le maglie col colore del cielo?