di Adolfo Mollichelli
Il Napoli gioca a tennis. E raggiunge la Juve che aveva messo in tavola tre delizie sfornate da Dybala e l’Inter che il giorno prima aveva cucinato maluccio la sua pietanza in quel di Crotone, sul cui campo s’affaccia l’ospedale per la gioia di infermieri, medici, paramedici e malati che si reggono in piedi. In verità gli azzurri sono primi grazie alla sontuosa differenza reti.
Il primo derby della storia tra Napoli e Benevento è stato una non partita. Troppo scarsa la squadra sannita guidata (?) da Baroni che appose il sigillo sul secondo scudetto sotto il Vesuvio. San Gennaro non s’è schierato, ha lasciato fare.
Anche perché impegnato nell’opera di scioglimento del sangue nell’ampolla affidata a Sepe (il cardinale, non il portiere). E poi perché s’era stufato per la storia della nascita; Napoli, Benevento, Vibo Valentia. Santo io sono e protettore di Napoli, punto e basta. E se proprio cercavate un mio aiuto non avrei potuto che offrirlo ai più bisognosi. E sarebbe stato difficile: una mano ai ragazzi in giallorosso – e qui mi sarei potuto impappinare perché sono i colori della città del lungomare liberato e del corno gigante – e che protettore dei napoletani sarei stato? E allora neutralità (si fa per dire) e fate voi.
Ed è finita che hanno fatto tutto loro, cioè gli azzurri che in effetti erano soli in campo. Beneventani non pervenuti. E pure privi del loro asso, quel Ciciretti dal sinistro sontuoso, nato nelle giovanili della Roma.
Il Napoli non poteva esimersi dalla goleada, il Benevento non ha fatto nulla per evitare la goleada. Il Verona di Pecchia l’avvocato – l’avrà fatto immagino un pensierino ad aprire uno studio legale -, il Benevento, la Spal sono effettivamente figli di un dio minore.
Baroni avrà anche pensato alla perfidia di zio Maurizio che gli ha schierato di fronte la migliore formazione possibile – vile, uccidi un uomo morto – quella che sarebbe dovuta scendere in campo in Ucraina. L’Allan di questi tempi sontuosi, tanto per chiarire le idee al tuttotuta, ha aperto le danze allo sbocciare del pomeriggio sanpaolino ed è come se fosse stato un sigillo apposto alla lettera immaginaria di protesta imbucata nella cassetta degli spogliatoi dello Shakthar.
E dopo lo sfondamento del brasiliano il diluvio: il chicco di grandine di Insigne, lo scroscio di Callejon e le tre folate di vento di Mertens che a fine partita è uscito con il pallone sotto il braccio felice come uno scugnizzo che abbia trovato per strada il supersantos dei desideri. Beneventani mosci perfino nelle gambette sui rigori, due, e nessuno s’è permesso di dire: troppa grazia Sant’Antonio perché allora sì che Januarius avrebbe avuto tutto il diritto di perdere la pazienza.
E così ha inviato un puttino invisibile che s’è agganciato alla traversa sopra di Reina, non si sa mai, concedendogli il più tranquillo dei pomeriggi settembrini nel giardinetto dei sedici metri, senza la men che minima folata di vento che porta le prime foglie annuncianti l’autunno.
Tripletta normale di Mertens e tripletta di Dybala in verità sontuosa. Prosegue la via crucis di Higuain che non chiamano più Pipita bensì Depresso. Gordito, depresso e sostituito, tempi duri per il Gonzalo della felicità perduta. Per Allegri un problema di non poco conto. Perché c’è ed è come se non ci fosse e se lo mette in panca si rischia un casino da novanta e passa milioni.
L’Inter anch’essa a punteggio pieno sembra avere qualcosa in meno di Napoli e Juve.
Spalletti che fa linguacce a Crotone e chissà a chi ha reso più accorta la Beneamata con gli occhi a mandorla che prima di lui era portata a smarrirsi sul più bello.
L’unica costante con il recente passato è la bravura mostruosa di Handanovic gatto volante. Prima d’ora le parate super dello sloveno servivano spesso ad incamerare un punticino, ora tre. E non è poco.
Ossigeno per l’altra orientale meneghina che fatica più del lecito a mettere i furlani sotto il tappeto. E’ stata la giornata di Kalinic al quale il Var (vado a rivedere) ha impedito al croato di emulare Dybala e Mertens. Credo che arbitro e congegno tv abbiano toppato sul gol annullato a Kalinic per fuorigioco perché con i piedi è dietro e solo un po’ di braccio è oltre ma con il braccio non si può segnare, elementare Watson pardòn Var. Non finisce di stupire l’Atalanta chiamata Dea che pareggia in casa del sempre ostico Chievo di Campedelli il samurai. A conferma che gli schemi d’accordo, la tattica d’accordo, l’organizzazione d’accordo ma poi fai risultato quando getti nella mischia valori assoluti come Orsolini e soprattutto il Papu delle meraviglie, cioè Gomez fresco di convocazione da parte del tecnico dell’Argentina.
La Lazio vince a Genova ed è a due punti dal trio delle grandi. Doppietta di Immobile che come Insigne ritrova se stesso lontano dalla Nazionale. Si annuncia da thrilling Lazio-Napoli di mercoledì. Intanto, il Genoa mette in mostra il gioiellino Pellegri inseguito da tutte le grandi del campionato. Due gol da vecchia volpe d’area. Il futuro è suo.
E’ doveroso rivolgere un pensiero per il sergente di ferro che non è più. Conobbi di persona Eugenio Bersellini alla fine degli anni ottanta in occasione di un Avellino-Inter. Aveva in squadra Spillo Altobelli, Oriali una vita da mediano, Beccalossi il genio e Bordon tra i pali. Naturalmente vinse lo scudetto (1979-80). Mi concesse una lunga intervista con la cortesia che oggi è dificile trovare nel dna dei santoni di panche e campo.Allenò anche altre squadre tra le quali l’Avellino che Antonio Scotti mi aveva ordinato di seguire sin dai tempi della C. Bersellini aveva 81 anni. Ti sia lieve la terra sergente di ferro.