Adolfo Mollichelli

Adolfo Mollichelli

Giornalista. Ha lavorato con il Roma ed il Mattino. Ha seguito, tra l'altro, come inviato speciale cinque Mondiali, altrettanti Europei, nove finali di Campioni-Champions e l'Olimpiade di Sydney

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Olé…

di Adolfo Mollichelli

Lassù qualcuno lo ama. Di nuovo in vetta. Scavalcata l’Inter che s’è fermata davanti al bianconero di Udine, terra di orgoglio e storia furlane e del divino prosciutto San Daniele. A Spalletti è bastato Thohir in tribuna per cadere nella filosofica depressione. L’ultima volta che l’indonesiano s’era assiso tra i dirigenti cinesi la Beneamata aveva perduto (in casa) dalla Roma.

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Hamsik 115, sul tetto del Napoli

Identico il risultato (1-3). A Sarri è stato sufficiente un po’ di studio di geometria – minori triangoli ripetuti di un certo tipo – e più linee ravvicinate e orizzontali di un certo tipo per sbattere davanti al Toro il suo Ciuccio fremente e scalciante.

Certo, va pure detto che non è tempo favorevole ai serbi. Insomma, prendono Igor e volete che Sinisa non si consegni? A dire il vero, il povero Sinisa non ci ha capito granché e credo si sia fatto le croci imprecando rosso in viso: ma questi da dove sono venuti, possibile che ci sia una linea diretta tipo Italo da Marte a Torino. Uomo contro uomo, aveva ordinato il generale serbo.

Adolfo Mollichelli

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Tutti vicino e lasciamo il solo Belotti a farla da guastatore. Senza tenere conto che prima che il gallo cantasse il Ciuccio l’avrebbe trafitto tre volte. E il dies irae del capitàno, poi. Tempi grami per i serbi. Via il velo della tristezza. Vien fuori un eroe omerico con tanto di cresta-cimiero e tatuaggi di sentimento.

3432364_m5Signori: il Capitàno è tornato. Il Marekiaro più lucente delle stelle di San Lorenzo. L’Hamsik dei sogni perduti che si ritrova d’incanto nell’arena. Perché quando la lotta si fa dura i duri scendono in campo e limitiamoci agli eventi sportivi (per carità). Esibizione di classe pura di Marekiaro.

E poiché davanti c’era il Toro e quindi c’era do toreare, ecco el toque, la stoccata numero 115, quante ne aveva inferte la mano de Diòs nelle passerelle sublimi della fantasìa al potere. Il terzo sigillo, il più atteso. A completare un tris che sarebbe potuto essere anche un pokerissimo con un pizzico di fortuna in più ma bisogna sapersi accontentare anche perché l’elemento dal nome rievocante la buona sorte (insomma, N’Koulou) era di sponda granata.

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Piatto ricco, mi ci ficco. E di piatto il Capitàno ha infilato il povero Sirigu, nobilitando il sontuoso assist di Mertens detto Ciro che aveva controllato la sfera con un cioccolatino confezionato all’istante, altro che questi chef che in tv ammorbano da mane a sera con ricette complicate.

La corrida non c’è stata. Perché il Toro s’è accasciato subito. Senza che fossero intervenuti banderilleros e picadores. M’aspettavo svolazzo di fazzoletti bianchi, la canonica pañolada e niente.

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Gigante d’ebano aveva colpito di testa su deviazione di Allan in seguito ad angolo agli albori della fiesta. Angolo. Nomen omen. Rincòn vuol dire angolo.

E poverino el jefecito venezuelano che non riuscirà mai a capire da quale angolo sbucasse il Capitàno. C’era stata poco dopo la stilettata di Zielinski, elegante nella esecuzione e da un polacco non potevi aspettarti che una musica dolce nell’accompagnamento della sfera del raddoppio.

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Nomen omen e così Callejòn (che significa corridoio, strettoia) s’infilava nello stretto mentre i granata sballottati da folate di vento eolico s’aspettavano le solite imbucate alle spalle, da indiano, ma lo spagnolo s’è stufato di fare l’apache ed ha cambiato abitudini consegnandosi ad un ruolo nuovo nel film del Ciuccio che sventra il Toro.

Poi, certo, sui campi d’inverno si scivola e Mertens detto Ciro è “sciuliato” spesso mandando in bestia zio Maurizio (Sarri) che avrebbe voluto matar y matar y matar. Insomma, era gomorrianamente inferocito dopo che l’istinto da killer dei suoi piccoletti s’era afflosciato e l’ultimo gol risaliva, nientemeno, che alla fine di novembre ed era stato “fasullo”, il rigore sbagliato da Jorginho e ribadito in rete sulla goffa respinta di Scuffet ad Udine.

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Ancora a secco Mertens, generoso suggeritore. Trova il sigillo dopo undici partite, che sono un’eternità, Belotti il gallo che aveva dimenticato come si intona chicchirichì. C’è riuscito perché il Toro, come le formiche, nel suo piccolo s’è incazzato. E perché la Regina azzurra in mezze maniche è generosa quando bussano alla porta della sala del gran ballo e s’è fatta trovare lenta ed impacciata nel passo da minuetto che le stavano insegnando. Bussa e ti sarà aperto. E Reina così ha fatto. E il gallo ha ringraziato per aver trovato di nuovo il suo rauco chicchirichì.

Tutto non si può avere. E poi, l’importante è che lassù qualcuno lo ama. E che la Beneamata sia tornata sotto, dietro, e dovrà accontentarsi di accendere lanterne cinesi per Natale. Resta la grande bellezza del Ciuccio toreador. Un’ora dopo le cinque della sera.

 

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