Franco Esposito

Franco Esposito

Giornalista e scrittore, inviato speciale de Il Mattino e del Corriere dello Sport. Presente a cinque edizioni dei campionati del mondo, 106 volte inviato al seguito della nazionale italiana di calcio e 34 viaggi negli Stati Uniti per i grandi appuntamenti di pugilato, Vincitore del Premio Coni 2011 e un record: tre finali consecutive al Premio Bancarella Sport

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Una vita da inviato
La prima volta
non si scorda mai…

di Franco Esposito

Quarantacinque anni al seguito del Napoli o in tribuna per le più importanti partite del campionato italiano. Centosei volte inviato al seguito della nazionale italiana di calcio, 34 viaggi negli Stati Uniti per i grandi appuntamenti di pugilato. Vita da inviato. Eppure la prima volta non si scorda mai… Dal suo ultimo libro (“Io vi voglio bene assai”).

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Juliano e Rivera

“Voi due avete impegni?”. Voi due saremmo Mimmo Porpiglia e io, collaboratori abusivi al Corriere di Napoli. Vitaiolo, irresistibile donnaiolo, giornalista vivace, simpatico. Mimmo è l’ideale compagno di viaggio. Intanto, con lui non ti annoi. Un amico per tutte le stagioni.

Marcucci insiste, è importante per voi, vi farà sentire giornalisti. Ferrara domanda con gli occhi la nostra adesione. Sembra gonfiarsi il suo ventre abbondante. “Vi va di sostituirci a Milano il giorno di Pasqua?”.

Sì, si. Abusivi noi, io al primo servizio da inviato fuori sede. Il Napoli, il Milan, la Santa Pasqua: il pensiero corre alla famiglia Dolcetti, soprattutto al signor Giuseppe e Simona, tifosi persi del Milan, pazzi di Gianni Rivera.

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Franco Esposito

Mimmo ed io buttiamo giù il programma di viaggio. Napoli-Milano domenica mattina in aereo; il ritorno in treno intorno alle 22, in cuccette di prima classe. Il biglietto da Capodichino a Linate costa 24.000 lire. Aprile 1971, giorno 11, Pasqua di resurrezione. Abusivi inviati, siamo emozionati, facciamo fatica a stare nei panni. Pranzo leggero al ristorante Ribot, in zona ippodromo, cento metri dallo stadio. Prima di sederci a tavola nella confusione dei tifosi e in mezzo alle bestemmie degli scommettitori rovinati da cavalli e fantini, telefono a casa Dolcetti. Risponde il papà, gentilissimo, Dai, vieni a pranzo da noi, ti aspettiamo, sei ancora in tempo. “Vi aspettiamo, siete ancora in tempo”, ripete dopo che gli ho spiegato che siamo in due, Mimmo ed io. Prometto che sarò da loro a cena. Ci diamo appuntamento a fine partita, all’ingresso della tribuna.

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Invernizzi e Chiappella

Inviati e accreditati non possiamo accedere alla tribuna stampa, riservata ai giornalisti professionisti. Siamo pubblicisti, Mimmo ed io. I due settori sono praticamente attaccati e comunicanti, comunque ci va di lusso. Il Napoli gioca molto bene. L’allenatore è Beppe Chiappella, lombardo saggio, gran brava on persona e buon tecnico, una vita da mediamo quando giocava con la Fiorentina campione d’Italia. In questo stadio, due settimane prima, avversario l’Inter, al Napoli hanno fregato la partita e forse la possibilità di mettere le mani sullo scudetto, L’arbitro Gonella l’ha maltrattato senza ritegno, combinandone di tutti i colori.

Antonio Juliano, condottiero del Napoli, napoletano vero, oscura la luce di Gianni Rivera, altrimenti illuminato, Juliano ci rimette un ginocchio: Romeo Benetti è uno che piede e gambe non le tira indietro, mai. Un morettino del Napoli, Ripari, riccioli e fantasia, si appiccica all’elegante e talentuoso Riversa, e lo limita al massimo. Sormani e Schnelliger in gol. Si inceppa Josè Altafini, emozionato di ritrovare il Milan da ex. Si fa parare il tiro di rigore da Belli, non il primo portiere del Milan: il terzo. Alla fine è 1-1.

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È Pasqua, non si lavora, la nostra presenza allo stadio non prevede che si debba eseguire il canonico resoconto. Prego Porpiglia di coprirmi, usi la cortesia e l’amicizia di raccogliere le reazioni dei giocatori in spogliatoio. Abbiamo tutto il tempo del mondo per scrivere i pezzi. Fuori dello stadio mi aspettano, andrò a casa Dolcetti, noi due ci ritroveremo alla stazione. Eccoli, Simona e il papà, in attesa nel luogo convenuto, delusi dall’esito della partita. Il tifo può prendersi l’allegria e rendere tristi, non sempre euforici e contenti, Simona è nera, ma non credo che l’oscuramento dipenda dalla partita.

La signora Dolcetti è una cuoca formidabile. Un piacere la cena, apprezzata dall’antipasto al dessert. Simona Sempre nera, ora tendente al grigio. L’umore è cattivo, non un sorriso e parole poche, rare. Che le è preso? Mi dò dello stupido: forse ho sconvolto i suoi piani, per colpa mia ha dovuto rinunciare ad uscire con il ragazzo, a quattro giri in moto, al cinema, alla passeggiata in centro città con le amiche. Mi faccio la domanda e questa è la risposta.

Quando è l’ora, Giuseppe Dolcetti mette in moto la sua Opel. Si va in  stazione, moglie e marito, Simona ed io. L’umore di lei permane pessimo, zero parole. L’ho fatta grossa, mi sento in colpa. Avrei dovuto rinunciare all’invito a cena. Marciapiede del binario 14, il treno è già lì. E alla testa del binario, Mimmo Porpiglia chiacchiera di calcio e discute di massimi sistemi con un importante giornalista napoletano, Mimmo Carratelli, inviato del Roma. Frettolose le presentazioni, Carratelli è socievole e attacca immediato bottone con il signor Dolcetti. La moglie è testimone silenziosa, prima che dia vita ad un interrogatorio: il treno a che ora parte, perché non avete scelto di rientrare a casa in treno, a che ora arriverete a Napoli? Fortunati voi che fate questa professione meravigliosa.

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Milano Stazione Centrale

Ma dov’è Simona? Si stacca dal capannello e con svelta manovra spinge anche me lontano dai genitori e dai miei amici. Accelera il passo, costringendomi a starle dietro. Segue e non guardo a dove stiamo andando, tengo gli occhi verso le volte della stazione di Milano. La serata è tenera, fresca: non una bava di vento, primavera piena.

Siamo verso la metà del treno, passeggiando senza scambiare una parola. Non capisco, ma stavolta è lei a spaccare l’impaccio, a lacerare il disagio e il silenzio. Avevo visto giusto, Simona ha temperamento, non è solo una bella ragazza, l’incarnato castano e tutto il resto.

“Io avrei pensato…”

“Hai pensato a cosa?”

“Alla possibilità che io e lei potremmo metterci insieme”.

Investito da una vampata di meraviglia, mi sento sorpreso come quel tale che si ritrova sotto la bufera improvvisa, in aperta campagna, senza ombrello e impermeabile. Ora capisco il malumore che ha attraversato la giornata di Simona, quell’umore nero e i silenzi. Preparava una clamorosa sorpresa.

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“Cos’è questo lei? Mi fai sentire a disagio, dammi il tu”.

“Okay, già fatto”.

“Bene, Non bene il resto, però. Metterci insieme, come dici tu, sarebbe un’autentica pazzia”. “Non credo proprio”.

“Simona, ascolta, chiedo la tua attenzione. Fra me e te ci sono sedici anni di differenza e ottocento chilometri. Ti rendi conto? Tu a Milano, io a Napoli?”. Parole sincere, dolci frustate. Dovrebbero servire a scuotere Simona, a farla rinsavire. “Sedici anni di differenza non mi preoccupano. E sono niente ottocento chilometri di distanza per una persona come te”.

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“Resto della mia idea: sarebbe una pazzia. Proponi una cosa impraticabile, mi dispiace deluderti. No, no, non è possibile”.

“Sì, una cosa che mi preoccupa c’è. Tu sei abituato a considerare le donne come pigiami che servono solo per andare a letto”.

Pertinente preoccupazione discende da qualche discorso sul tema che Simona avrà ascoltato da me.

“Ammetto, è così. Però né tu ne io sappiamo di cosa sarei capace se mi innamorassi veramente”.

“Allora proviamo a scoprire di cosa sarei capace se ti innamorassi di me. Io darò tutto, sono disposta a tutto. Posso ritenermi la tua fidanzata? Io lo  desidero”.

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