Angelo Vaccariello

Giornalista esperto di economia e Mezzogiorno Ora si occupa di marketing e comunicazione.

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Sindrome cinese

di Angelo Vaccariello

Sino ad ora la Cina era considerata come il più avanzato esperimento di convivenza tra un capitalismo e comunismo, fra mercato e Stato, fra dimensione del privato (su cui il Partito imperversa) e pubblico. Ma tutti sapevano che si sarebbero dovuti fare i conti con questo innaturale equilibrio. E le Borse…

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Prima o poi doveva succedere. Perché meravigliarsi dunque? Dopo una settimana di Borse in profondo rosso ne approfittiamo per fare una riflessione non dettata dalla cronaca per quanto riguarda la “Sindrome cinese”. No, non ci riferiamo al famosissimo film, né tantomeno all’evocata catastrofe nucleare.

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Stiamo parlando dell’economia cinese che sta mandando in fumo miliardi e miliardi di dollari in tutte le borse del mondo. Si calcola (ed è una cifra per difetto) che negli ultimi cinque giorni siano stati bruciati quasi 2 mila miliardi di dollari in capitalizzazione: cosa che fa apparire la crisi greca come un problema di quartiere.

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Già, perché alla radice la questione è sempre quella: la globalizzazione. Ci è piaciuto aprire le frontiere? Ci è piaciuto accogliere Pechino nell’Organizzazione mondiale del Commercio (il Wto)? Ci è piaciuto, soprattutto, liberare i capitali e consentire loro di “andarsene” in giro come meglio credono? Bene, tutto ciò ha un prezzo che periodicamente bisogna pagare: lo scoppio della bolla.
Ma cosa è successo in Cina?  Come al solito una crisi economica non si spiega in due righe. Ci sono complessi fattori che si interrelano tra di loro e spiegano l’origine di questa vera e propria ecatombe finanziaria. Proviamo a spiegare almeno i più importanti.

image-620x3301. La Cina cresce meno di quanto si aspettavano Governo ed analisti finanziari. In pratica, il Pil cinese salirà di poco meno del 7 per cento. Non scherziamo, direte voi? Invece bisogna prendere questo dato sul serio. Perché la Cina ha un alto debito pubblico che, per essere sostenuto, ha bisogno di una crescita aggressiva. Il Pil che rallenta significa meno lavoro e meno consumi interni a Pechino con le conseguenze sull’economia che si possono immaginare.

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2. Le borse cinesi (Shangai e Hongkong) cominciano  a scontare un decennio di crescita cavalcante. Se tutti i cittadini investono in Borsa, i titoli sono “pompati” troppo e i loro numeri non rispecchiano l’economia reale. Ecco dunque che l’ondata di vendita ha, di solito, l’obiettivo di riportare i fondamentali alla realtà. In questo caso (e qui centra la globalizzazione) l’ondata di vendite sta scatenando panico su tutti mercati azionari: ecco il perché del crollo generalizzato.

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3. La svalutazione dello yuan. Il Governo cinese ha deciso di lasciare la moneta libera di fluttuare nel mercato monetario (prima non era cosi: la moneta oscillava in un range ben definito dalla Banca centrale). La fluttuazione ha fatto crollare la moneta e il Governo per sostenerla ha bruciato milioni e milioni. Questi soldi, come si può immaginare, sono sottratti all’economia reale per evitare che la moneta diventi carta straccia. Perché la svalutazione? Perché la Cina aspetta che lo yuan entri nel paniere delle monete ufficiali del fondo monetario internazionale. Cosa che non è ancora successa.
Cosa accadrà ora? La crisi cinese investe soprattutto aziende e sistemi economici che utilizzano Pechino come fabbrica produttrice e trasformatrice. Se non ci sarà un summit mondiale per affrontare le difficoltà, il sistema globale rischia un nuovo 1929, fratello più pericoloso della crisi del 2007.

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