di Carlotta D’Amato
Ero a Londra quando da Parigi sono rimbalzati i lampi di sangue, di morte e di paura. E subito la città è ripiombata dieci anni indietro, a quel terribile, maledetto giorno di mezza estate, dove l’Isis seminò terrore e morte.
Sono tornata nelle stazioni di Aldgate, King’s Cross e Edgware Road, là dove nel giro di 50 secondi tre bombe esplosero una dopo l’altra, quasi contemporaneamente.
Sono ritornata a Russel Square alla fermata numero 30 di Tavistock Place dove il vecchio, imponente bus londinese alto due piani che fa tanto “Old england” saltò in aria, riducendosi come una scatola di sardine. Cinquantadue morti, una valanga di feriti, quasi 700. La guerra c’era già allora, nel cuore di Londra, come prima a New York, a Beirut, a Garissa, a Madrid: mattanze, stragi, carneficine, un rosario infinito di morti impressi nella memoria, nelle targhe, nei ricordi, nei fazzoletti impregnati di lacrime. Siamo in guerra, dicono oggi. Siamo sempre stati in guerra, dico io. Ma dimentichiamo tutto, e troppo in fretta. Questa è la drammatica verità.
I nemici in casa, i terroristi francesi, belgi, i ragazzi della porta accanto. Parigi dieci anni dopo: proprio come a Londra considerata fino al momento della strage il “melting pot”, il luogo esempio di integrazione. Ora è l’Europa intera che si risveglia nuovamente sotto choc, con la consapevolezza che il pericolo può nascondersi nel vicino di casa, nel compagno di università, nel garzone che porta il pane, nel ragazzo che chiede una indicazione, una informazione.
Giro per Londra dopo che solennemente Francois Hollande a camere riunite ha dichiarato che la Francia è in guerra e mi accorgo che l’annuncio da queste parti non scosso il Paese, non ha aperto un grandi dibattito, così come sta succedendo in Italia. Cinismo, disinteresse? No, la verità è che a Londra, la capitale più multietnica del mondo, patria di grandi uomini e, purtroppo, di bastardi attentatori come Jihadi John, la consapevolezza di essere in un conflitto è iniziata dieci anni fa.
Ad un’Europa che si è dovuta drasticamente e violentemente svegliare da un torpore colpevole e che si è trovata impreparata davanti alle minacce di Daesh, Londra non ha mai smesso di pensare al terrorismo, non ha mai smesso di attrezzarsi di presidiare strade, piazze e metropolitane. Aeroporti sotto controllo con polizia e body scanner in barba (giustamente!) alla privacy che sarà anche importante ma non quanto l’incolumità dei cittadini e la sicurezza nazionale. Quattro mesi fa Londra è stato teatro della più vasta esercitazione antiterrorismo (coinvolti mille agenti di polizia oltre a militari e personale dei servizi di emergenza) degli ultimi tempi. Per due giorni hanno simulato un attacco terroristico di vaste proporzioni, veri atti di guerra, per non farsi cogliere di sorpresa, per non farsi trovare impreparati. E tutto questo quando quel maledetto venerdì 13 novembre era solo una data come tante, non significava Bataclan, le raffiche di kalashnikov, l’orrore, il sangue, la tragedia del 10 ed 11 arrondissement.
Qui, ci si prepara da tempo rafforzando le misure di sicurezza e creando una nuova unità antiterrorismo chiamata Ctsfo formata da 130 “super-agenti” che sono addestrati come le forze speciali “Sas” e dotati delle migliori armi per fermare un eventuale assalto a luoghi pubblici compiuto da terroristi. E poi, inutile sottolinearlo, il gran lavoro di Scotland Yard : poco più di un mese fa sono stati arrestati quattro terroristi che stavano organizzando un attentato.
Cosciente e consapevole, Londra esorcizza il terrore accrescendo la sicurezza nazionale, pronta ad ogni evenienza. Ma esorcizza la guerra anche continuando la vita frenetica di una città Stato, una metropoli unica e affascinante con il suo traffico gigantesco, la City, i pub, la cultura del tè, la famiglia reale, il Big Ben, Shakespeare, i teatri, la moda, fish and chips e la Tate Modern.
In questi giorni poi le luminarie di Carnaby Street brillano e abbagliano, è esplosa già l’atmosfera di Natale, è cominciato lo shopping natalizio, da queste parti la crisi economica non morde come nel resto d’Europa, la sterlina resta sempre la sterlina, l’euro con tutti i suoi problemi non è sbarcato nel vecchio Regno Unito. Guardo le luminarie di Carnaby Street e mi viene in mente la torre Effeil spenta: quante, troppe Europe ci sono in questa Europa….