Marcello Lala

Marcello Lala

Consulente internazionale, giornalista, laureato in giurisprudenza e scienze della comunicazione, Membro di confindustria serbia, vive tra Napoli e Belgrado.

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I fantasmi di Srebrenica

di Marcello Lala

Genocidio. Ge-no-ci-dio. Tocca scandirlo questo verdetto per infliggerlo bene in mente. Già, perché è la prima volta che questa pena viene erogata dai tempi del tribunale di Norimberga, settant’anni fa. Un brusco salto indietro o un importante passo in avanti?

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Srebrenica

Sono passati venti anni dalla macelleria di Srebrenica, eppure esiste ancora, se non una visione multipla, di sicuro una percezione diversa di quello che è maledettamente successo: per il mondo occidentale i serbo-bosniaci effettuarono solo un disumano, efferato atto di violenza. Per gli ortodossi dei Balcani  fu la vendetta (certo ingiustificabile e sanguinaria) di mille interminabili giorni di assassinii compiuti dalle milizie musulmane.

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Mladic e Karadzic

Radovan Karadzic, lo psichiatra folle aveva un disegno perverso e maledetto, ripercorrere le gesta dei suoi avi, i contadini ortodossi che combatterono gli Ottomani,  i “mujaheddin” arrivati dal Medio Oriente che decapitavano tutti quelli che trovavano sulla loro strada. Credeva, sbagliava, che ripercorrere quella battaglia avrebbe salvato una volta per tutte la sua gente e, chissà, pensava che qualsiasi mezzo fosse se non giusto, “lecito”.

Oggi Karadzic è stato condannato di genocidio. Ma sono passati venti anni dalla carneficina di Srebrenica, e la ruota della storia ha fatto un altro giro. Oggi dei mussulmani insanguinano, uccidono a Parigi e Bruxelles in nome dell’isis, oggi è stata dichiarata guerra all’Occidente.

L'obitorio di Tuzla

L’obitorio di Tuzla

La Serbia è pervasa da fremiti e sussulti. “Per noi è più importante parlare delle vite umane spezzate, della sofferenza e della riconciliazione, che delle conseguenze politiche e giuridiche che questa sentenza possa portare” Aleksandar Vucic ha affrontato la sentenza che ha condannato a 40 anni di carcere l’ex presidente della Repubblica Srpska con freddezza. “La Serbia non distingue i crimini per chi li ha commessi, ma se questi sono stati commessi e come sono stati commessi”  

La Serbia ha pagato un prezzo alto, altissimo. Settantotto giorni ininterrotti di bombardamenti, un elevatissimo numeri di vittime civili non hanno impedito però al Paese di avere un ruolo attivo nella cattura dei criminali di guerra. Non ha esitato a pagare, insomma, i conti con la storia e la coscienza. Cosa che non è avvenuta, invece, negli altri paesi coinvolti nel conflitto balcanico, Croazia, Bosnia e Kosovo dove molti di questi sono ancora a piede libero.

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La contestazione di Vucic a Srebrenica

Nello scorso luglio quando Vucic si è recato alla commemorazione delle vittime di Srebrenica mostrando spirito costruttivo e di riconciliazione, la prima volta dopo 20 anni che un premier serbo si recava alla cerimonia, ricordiamo tutti come è stato accolto. Vucic fu non solo contestato, ma costretto a fuggire da una fitta sassaiola. Ma importante era dare un segnale di rottura, di discontinuità col passato, non per dimenticare, non per accantonare il dolore, ma per ripartire, voltare pagina.

La mia sensazione però, sempre più netta, è che la comunità internazionale nel suo insieme non ha ancora una piena volontà di riconciliazione, di capire in pieno alcune dinamiche di un popolo ferito a morte, anzi  a volte ho la sensazione che primeggi più una volontà di punire ed umiliare ulteriormente la Serbia che altro.

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Io vivo tra Napoli e Belgrado, conosco la voglia che c’è di rialzarsi dopo le guerre fratricide, di rilanciare l’economia, di sbloccare una economia che affanna ancora bloccata da una macchina pubblica mastodontica da sfoltire quanto prima e da un sistema che non permette la libera concorrenza a causa di un potere economico nelle mani di pochi oligarchi.

La Serbia vive la vigilia delle elezioni politiche che si terranno il prossimo aprile. Vucic si è ricandidato per guidare i processi di riforma che questa volta dovranno però durare necessariamente 5 anni, una legislatura intera. Ha portato il Paese alle elezioni anticipate, giocando d’anticipo perché gli alleati non glielo consentivano e, molto probabilmente, anche per capitalizzare il forte consenso che gode in questo momento nel paese.

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Ora bisogna vedere quali rapporti di forza usciranno dalle urne. Una maggioranza chiara ed omogenea, naturalmente potrà avviare il difficile processo di riforme. Noi ce l’ auguriamo per il popolo serbo che giorno dopo giorno combatte per avere una vita normale e dignitosa che nulla ha a che vedere con i fantasmi del passato. Karadzic compreso.

 

 

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