Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

1 La corte interna della Stazione di Posta vista dai cancelli chiusi

Emozione Daunia

di Lidio Aramu

A volte capita che il volo planato dei gabbiani, la vittoria dell’arcobaleno sul temporale, il beccheggiare del veliero sulla cresta delle onde di un mare in burrasca, immagini partorite dalla mente per ricostruire fantasticamente una dimensione perduta dell’essere, non siano più sufficienti ad abbattere gli angusti e dolorosi steccati del quotidiano

Sergio Pelosi e Lidio Aramu

Sergio Pelosi e Lidio Aramu

Ed allora giunge il momento di togliere le briglie a quella voglia repressa di andare che ci si ritrova nelle gambe e che altro non è che il desiderio di ritrovare se stessi, la propria spiritualità, le profonde e personali ragioni dell’essere.

Inizia così un viaggio dove spazio e tempo sono indefiniti e la meta può materializzarsi in maniera imprevedibile.

Il ponte romano-borbonico sul Cervaro

Il ponte romano-borbonico sul Cervaro

Il percorso può assumere le forme dei decumani del centro storico con lo stuolo di palazzi nobiliari, le chiese monumentali, le rumorose botteghe artigiane, gli umili e tristissimi bassi sempiterni. Oppure quelle degli irti sentieri, ombreggiati dalle secolari farnie e dai lecci, che dal dromos e dall’oikos della Sibilla conducono all’acropoli cumano. O ancora quelle delle austere e sacrali mura delle abbazie gotiche delle cittadelle monastiche di Casamari, Fossanova e di Valvisciolo. Un viaggio che andando oltre l’omerica metafora di un’esistenza, si traduce nella ricerca – non di rado vana – di un senso della vita che possa conferire un significato umanizzante e insieme trascendente all’alienante banalità del quotidiano, attraverso un inesauribile flusso di pensieri.

Il monumentale fontanile costruito per volontà di Carlo di Borbone

Il monumentale fontanile costruito da Carlo di Borbone

La mia doveva essere una breve fuga dalla noiosa e grigia routine. Una giornata da trascorrere pestando, come un tempo ero solito fare, le zolle degli ondeggianti campi di grano della Capitanata dalla spiga ormai emergente. Una breve tregua dalle difficoltà del quotidiano, doveva…

Il caso volle invece condurmi in un luogo fantastico, incastonato nel verde intenso del Subappennino Dauno: un insieme costituito da un ponte romano sul fiume Cervaro, da un borbonico abbeveratoio pubblico e dalla nuda pietra di un’antica Stazione di Posta.

Una singolare stratificazione di manufatti storici che non ha bisogno dell’intervento di guide o di cartelli turistici per essere compresa tanto forte è la presenza del genius loci. Il ponte riporta alla mente le guerre tra romani e sanniti, il fontanile il Regno dei Borbone, la Taverna del Ponte, meglio nota col nome di Stazione di Posta, l’intensità del traffico commerciale e di viaggiatori che si sviluppava tra la Capitale duosiciliana e le Terre della Capitanata, di Bari e di Otranto.

La Stazione di Posta di Ponte Bovino

La Stazione di Posta di Ponte Bovino

Un passaggio obbligato per uomini e merci che la difficile accessibilità della Valle del Cervaro esponeva da secoli alle aggressioni ed alle razzie dei briganti.

Un’antica piaga che negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia assunse, per molti versi nobilitandosi, forme e contenuti di una vera e propria ribellione sociale, di una resistenza armata all’invasione savoiarda del Regno del Sud.

L’imponente caseggiato della Posta era desolatamente vuoto, silenzioso, gli accessi preclusi da cancelli bloccati da robuste catene. Eppure, osservando quel pezzo della corte interna attraverso le sbarre, mi sembrava di percepire un brusio di voci lontane che raccontavano di raccolti bruciati, di razzie di bestiame, di rapimenti e riscatti di proprietari terrieri, di poveri cristi fucilati senza un giusto processo, di rappresaglie. Ad un tratto il bisbiglio lasciò il posto allo scalpitio della cavalleria borbonica, dei reali carabinieri a cavallo all’inseguimento delle bande di briganti, anch’esse a cavallo.

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I tetti di Bovino

La Stazione di Posta e l’antico feudo dei duchi Guevara, estremo lembo occidentale della Daunia, per la sua posizione strategica occupò un posto di rilievo tra i luoghi leggendari del brigantaggio post unitario. Le bande partigiane, costituite per lo più da ex militari del disgregato esercito borbonico e da cafoni, che la conquista piemontese aveva reso ancora più poveri con l’abolizione degli usi civici, scelsero, da queste parti, come teatro delle loro scorrerie i territori compresi tra il Sannio e la Lucania: Melfi, Lagopesole, Rionero in Vulture, Ordona, Sant’Agata di Puglia, Rocchetta Sant’Antonio, Deliceto e Bovino, divennero i termini di una spirale senza soluzione di continuità nel cui centro trovava ricetto l’antica e mai riscattata miseria contadina. Alla feroce repressione piemontese i briganti rispondevano colpo su colpo.

Giuseppe Schiavone

Giuseppe Schiavone

Mentre riflettevo su questi drammatici fatti, davanti al mio sguardo sfilavano i volti di Caruso, Schiavone, Crocco e Ninco Nanco, patrioti del Sud che la storiografia ufficiale marchierà con l’epiteto infamante di briganti. A 150 anni circa da quei tragici eventi, un’altra verità, quella vera sostengono alcuni, va facendosi largo. Di conseguenza, per i revisionisti ed i circoli neoborbonici, i comandanti delle bande armate, pur continuando ad arricchire con la esposizione delle proprie teste, spiccate dai martoriati corpi dalle sciabole dei “fratelli d’Italia”, un lombrosiano museo nella civilissima città di Torino, rappresentano i campioni di un’identità violata e negata da ricordare e da onorare.

Ormai la visita al luogo della memoria volgeva al termine ma sentivo forte dentro di me il desiderio di concludere il viaggio, attraversando la Natura ed i boschi che offrirono riparo e protezione ai partigiani del Sud.

Decisi quindi d’imboccare l’antica strada Regia delle Puglie per riprendere poi l’autostrada a Grottaminarda in modo da poter osservare i panorami che fecero da quinta all’epopea del brigantaggio post-unitario. Cominciai così ad inerpicarmi lungo i fianchi tortuosi del Subappennino Dauno alla volta di Ariano e Grottaminarda.

Un tratto del Cervaro visto dal ponte

Un tratto del Cervaro visto dal ponte

Man mano che salivo verso l’alto i coltivi lasciavano il passo ai boschi di querce (roverelle e cerri), ai quali facevano da contrappunto estese superfici di pascoli e colture di grano duro.  Un’alternarsi cromatico e spaziale di tale incomparabile bellezza che neanche la più fertile delle fantasie avrebbe mai potuto concepire. Un itinerario suggestivo tra paesaggi mozzafiato: sinuosi crinali, vallate del colore intenso dello smeraldo, le masserie, i casali, il reticolo della vegetazione posta a confine delle proprietà e dei campi, i segni netti e vari delle colture e dei filari, il bosco e la macchia che incorniciavano i poderi.

Nell’azzurro cielo il volo libero dell’astore e della poiana. E poi il silenzio… Un silenzio che non è assenza di parole e suoni, ma è condizione essenziale per percepire i sentimenti più profondi, per esprimere emozioni, stati d’animo, per ascoltare il proprio io, per elevare dal profondo dell’anima un canto di lode e ringraziamento al Creatore di tanto splendore. Un silenzio che pone l’umana sensibilità in piena sintonia con la Natura, concedendole il potere di ascoltare la sua ancestrale voce.

Bosco Serbaroli

Bosco Serbaroli, Sant’Agata

E così udii le annose querce raccontare storie di apparizioni celestiali nel bosco d’Incoronata ed in quello di Bovino; d’incessanti perlustrazioni, di lunghe marce effettuate da militari venuti da molto lontano, in ogni condizione di tempo, di giorno e di notte, tra dirupi e gole imboschite dagli aceri, dai faggi, dagli olmi, in cerca di un nemico inafferrabile; di sanguinosi agguati e feroci repressioni.

Nei boschi di Bovino, Deliceto, Accadia, S. Agata, si scontrarono, da un lato, le bande di cafoni capitanate da Carmine Donatelli Crocco , Giuseppe Caruso e Giuseppe Schiavone, dall’altro, i Lancieri di Montebello, i Cavalleggeri di Saluzzo, le guardie nazionali ed i bersaglieri.

Briganti ( dall'omonimo film)

Briganti ( dall’omonimo film)

Carmine Crocco

Carmine Crocco

Ma queste sono storie passate, interessano a poche persone – disse con voce stanca il vetusto Cerro – anche quello che sto per raccontarti interessa a pochi anche se, a parole, in tanti, tra pubblici amministratori e cittadini, non fanno altro che dichiarare ai quattro venti il loro profondo amore ed un instancabile impegno per l’ambiente e la sua tutela”. Ascoltai il racconto con rispettosa attenzione, anche se per me non costituiva una rivelazione.

Lo avevo già letto osservando gli alberi che sfilavano dinnanzi al parabrezza dell’auto mentre mi dirigevo verso Accadia.

Bosco Difesa Grande - Accadia

Bosco Difesa Grande, Accadia

Mi parlò di una simbiosi mutualistica tra il bosco e l’uomo tramutata col passare degli anni in una tenace competizione per la conquista dello spazio vitale. Lotta che ha finito col determinare nel tempo lo spostamento dei boschi – molti dei quali in forte stato di degrado – sulle cime dei monti e la riduzione della macchia a pochi lembi di territorio. La loro stessa uniformità è stata irrimediabilmente compromessa dalla costruzione di boschi con essenze non originarie (Pino nero) e dalla commistione di latifoglie e conifere determinata dall’esigenza di colmare le superfici libere lasciate dagli incendi. E come se non bastasse, la riduzione delle superfici destinate a pascolo e la conseguente perdita del manto erboso ha finito col favorire l’erosione dei terreni per opera delle piogge e del vento.

Gole di Accadia

Gole di Accadia

Un ulteriore fattore di rischio questo che s’inserisce in un contesto ambientale caratterizzato da un’estrema instabilità geologica e con la quale devo fare i conti scansando le fessurazioni dell’asfalto stradale ed i tratti di carreggiata franati rovinosamente a valle. Un dissesto idrogeologico permanente che, di fatto, anche per l’abbandono della via Nazionale delle Puglie a favore della più rapida e sicura autostrada, ha accentuato l’atavico isolamento di queste plaghe.

Una condizione che, implementata alla forte identità storica dei luoghi, diventa una formidabile leva su cui agire per innescare flussi di turismo ambientale, culturale, religioso e gastronomico, destinati a quanti ancora sono all’affannosa ricerca di una dimensione temporale a misura d’uomo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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