Carlo Alberto Paolino

Carlo Alberto Paolino

Passato dal campo turistico, insegnamento in corsi aziendali fino alla Pubblica Amministrazione per poi dedicarsi alla sua passione: l'informatica, in particolare la grafica dove può dar sfogo a tutto il suo estro. Il suo non d'arte è Capaquila

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La strage degli innocenti

di Carlo Alberto Paolino

Ora avrebbero bisogno loro di un Libertador. Il Paese che ha dato i natali a Simon Bolivar, l’uomo che ridiede la libertà a Colombia, Panama, Perù, Ecuador e Bolivia, è prigioniero di se stesso. Delle sue ricchezze e, soprattutto, delle sue debolezze. Il Venezuela è ferito a morte

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La situazione è ormai largamente sotto i livelli di guardia. La crisi economica, sociale e istituzionale del Venezuela ha portato l’inflazione al 700 per cento. Il Paese è alla fame. I negozi di alimentari sono desolatamente vuoti, al massimo si riesce a trovare qualcosa al mercato nero. La situazione igienico-sanitaria è drammatica.

Una strage di bambini. Il tasso di morte tra i neonati al di sotto di un mese è aumentato a dismisura, cento volte e più,  negli ospedali pubblici gestiti dal Ministero della Salute. Il tasso di morte tra le neo-mamme è aumentato di quasi cinque volte.

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I farmaci tumorali si trovano solo al mercato nero. C’è così poca energia elettrica che funziona solo due giorni alla settimana per salvare ciò che resta. Gli ospedali, non garantiscono nulla.

Nicholas Caseyai del New York Times

Nicholas Caseyai

 

 

 

I respiratori nel reparto maternità vede medici-eroi che provano a tenere in vita i neonati pompando aria nei loro polmoni a mano, per ore. All’Università dell’Ospedale Ande, nella città di Mérida, non c’era abbastanza acqua per lavare il sangue dal tavolo operatorio. I medici che si preparano per la chirurgia si lavano le mani con bottiglie di acqua seltz. Il recente reportage di Nicholas Caseyai del New York Times, dall’ospedale di Barcelona, è uno straziante racconto dall’inferno.

Nicolas Maduro

Nicolas Maduro

Dieci giorni fa, dopo undici mesi di chiusura, il presidente Nicolas Maduro ha riaperto la frontiera con la Colombia, il valico di Sant’Antonio del Tàchira, anche se soltanto per dodici ore. Un maestoso, interminabile fiume umano ha attraversato il ponte Simón Bolívar che separa i due paesi per raggiungere la vicina città di Cúcuta e poter fare provviste. Un esodo di disperati. Non solo cibo ma anche  medicine e beni di primo consumo. Un atto di distensione dopo i gravi episodi della scorsa estate (il ferimento di alcuni militari venezuelani che stavano facendo dei controlli contro il contrabbando) culminati con il ritiro dei rispettivi ambasciatori da Bogotà e Caracas. Una vicenda che ha visto anche l’espulsione di più di 1500 colombiani dal Venezuela. Guerriglie e traffici di frontiera che si sono trasformate in un dramma.

Venezuela supermercati vuoti

Il Venezuela è diventato un Paese di mendicanti, costretto ad emigrare per comprare il minimo necessario. Eppure parliamo di un Paese ricco di petrolio, ricchissimo. Le riserve accertate ammontano ad 80 miliardi di barili, ma le riserve effettive ammontano a 298,3 miliardi di barili, più di quelle dell’Arabia Saudita, 266 miliardi ed addirittura sette volte superiori a quelle degli Usa pari a 44 miliardi di barili. La capacità produttiva teorica del Paese è di 4,4 milioni di barili al giorno. In teoria a Caracas potrebbero dormire sonni tranquilli, perché possono continuare ad estrarre petrolio per altri 160mila giorni, cioè per altri quattro secoli e 38 anni.

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Ma una serie di errori fatali, una spinta petro-dipendenza, e la politica statalistica (rinnegando le basilari legge del libero mercato) voluta da Chavez hanno ridotto il Venezuela in ginocchi. Chavez ha privatizzata, ha puntato su quel socialismo reale abbandonato perché fallimentare dai Paesi dell’Est Europeo, dall’Urss e dalla stessa Germania Est, che l’avevano sperimentata con esisti disastrosi per oltre quattro decenni prima di cambiare totalmente ed aprire al mercato.

E così il Venezuela oggi importa l’85 per cento di quello che consuma e nel bilancio dello Stato la voce gettito da esportazione di idrocarburi pesa da sola per oltre il 96 per cento. Ma il problema è che il  petrolio bisogna saperlo estrarre (la produzione è ufficialmente scesa a 3,3 milioni secondo la propaganda governativa, ma di fatto si è ridotta a soli 2,7 milioni secondo i dati accertati dall’Opec) e bisogna saperlo vendere. E se il prezzo del barile crolla vertiginosamente e se mezzo mondo preferisce investire e sviluppare le energie pulite ed alternative, tutto diventa difficile e complicato. Impossibile.

 

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