di Gianpaolo Santoro
La terra si è rimessa a tremare nel cuore della notte, nel cuore dell’Italia. Ad Amatrice e Accumoli (Rieti) e ad Arquata e Pescara del Tronto (Ascoli). Come in Irpinia, come a L’Aquila, come in Emilia Romagna, come mille altre volte in questo paese fragile e friabile, ormai indifeso, marchiato e segnato da zone altamente sismiche e da speculazioni e costruzioni fuorilegge. Questo è il sedicesimo sisma che ha superato la magnitudo 6 della scala Richter in Italia, una scossa di tale violenza che, dalle nostre parti, non resta che fare il segno della croce
Eppure non dovrebbe essere così, non deve essere così. Noi viviamo in bare, paese presepio che si possono sbriciolare da un momento all’altro, che non hanno bisogno di spallate mortali.
Per capire meglio quello che vogliamo dire, prendiamo uno studio di Alessandro Martelli, ( docente di “costruzioni in zona sismica” all’università di Ferrara, già direttore della sezione “prevenzione rischi naturali” all’Enea e presidente dell’Associazione nazionale di ingegneria sismica) che rivela che un terremoto di quasi 7 gradi, nell’Appenino meridionale provocherebbe tra i 5 e gli 11 mila morti, in Giappone si e no 50. Ed ancora un sisma superiore ai 7 gradi conterebbe da noi tra 15 e 35 mila vittime e si e no 400 in una città densamente popolata come Tokyo.
Dice Mario Tozzi, noto divulgatore scientifico in tv. “Certe zone dell’Italia sono come il Medio Oriente. In un Paese avanzato una scossa di magnitudo 6 non provoca tanti crolli e tante vittime”.
E gli fa eco Enzo Boschi, sismologo e geofisico, tra i massimi esperti europei di terremoti ed ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. “Purtroppo in Italia si costruisce bene, con criteri antisismici, solo dopo un terremoto grave”.
Ma non è neanche vero questo. Prendiamo la scuola di Amatrice costruita appena quattro anni fa con criteri antisismici, squartata in due, come se fosse stata colpita da una bomba. Una vergogna.
Ed è l’immagine di questo maledetto Paese che ora riprenderà la solita ritualità che segue le catastrofi: le passerelle, il cordoglio, le promesse, le belle parole, il sogno, la speranza, la ricostruzione, il futuro, gli stanziamenti, i lavori da affidare agli amici, i soliti, sempre gli stessi. Ci sia o meno la registrazione, qualcuno da qualche parte si sta sfregando le mani, è in arrivo una cascata di soldi nel nome dell’emergenza, procedure velocissime.
Ma poi, se si fa un salto all’indietro nella memoria, tanto per fare un esempio, vedi che da più di trentacinque anni, un nugolo di famiglie, più di cinquanta, vive a Cava dei Tirreni ancora in container fatiscenti e assediati dall’amianto, in uno stato di assoluto imbarbarimento economico e sociale. E’ come se si fosse fermato drammaticamente il tempo: sono sfollati del terremoto dell’Irpinia.
Ora sentiremo dire che lo Stato sarà vicino a tutti, che farà sentire la sua presenza, che non sarà abbandonato nessuno. Il che vuol dire interventi, risorse, iniziative.
Ma poi la maledetta memoria ci ricorda che gli ultimi 157 milioni di euro destinati alla ricostruzione del sisma del 1980 sono stati stanziati con la finanziaria del 2007, un tragico sberleffo.
Ora si contano i morti, passeranno le storie, i volti della tragedia, il parroco, il farmacista, i sindaci, quei primi cittadini che potrebbero risultare anche gli ultimi.
Già perché questi paesini presepe rischiano di sparire, chi in piccoli borghi di mille-duemila anime avrà ancora la voglia di ricostruire la vecchia casa di famiglia, di ripopolare piccoli centri che vivono solo d’estate e di sagre e di un po’ di turismo? Con quelle case è crollato un sogno, un pezzo di storia e di memoria. E forse è crollata anche la speranza.
Fra le varie notizie, è stato evidenziato anche nelle zone vicine, colpite da recenti terremoti, non vi sono stati molti danni.
Ciò perché i lavori di consolidamento e restauro risultano efficienti ed efficaci.
Viene, allora, spontaneo di chiedersi perché questi lavori non si fanno prima. Si parla di lavori pubblici per aiutare l’economia italiana a ripartire. Ma quali sono questi lavori pubblici? Forse solo quelli dati in appalto a qualche parente o amico di un politico o sindacalista?