di Ottorino Gurgo
Quanti sta accadendo a Roma non può non far riflettere e non assumere le dimensioni di un “caso nazionale”. Molti anni fa, un grande scrittore, Manlio Cancogni, su un settimanale a larga tiratura, pubblicò un’inchiesta dal titolo estremamente significativo: “Capitale corrotta, nazione infletta”. Rimarcava, in questo modo, Cancogni, che l’Italia non può prescindere da quel che accade nella sua capitale
Ben sappiamo quale sia, da molti e molti mesi, ormai, la situazione di questa città: le casse del Campidoglio registrano un deficit di macroscopiche dimensioni; le strade sono ridotte ad una pattumiera e le buche l’hanno trasformata in una sorta di gruviera rendendo impossibile la circolazione; i trasporti pubblici sono quasi del tutto inutilizzabili costringendo quanti al mattino devono recarsi al lavoro e, poi, far ritorno a casa a interminabili attese.
E su questa catastrofica situazione si è abbattuto, devastante, lo scandalo di “Mafia capitale” che ha definitivamente contribuito a far meritare alla città l’appellativo di “grande ammalata d’Italia”. Come rovesciare questo stato di cose ?
Chiamati nel giugno scorso alle urne, i romani hanno deciso di dare una solenne lezione alle forze politiche, a tutte le forze politiche, di destra, di sinistra, di centro, attribuendo ad esse la responsabilità del degrado cittadino.
E hanno premiato quella che ritenevano l’unica forza politica estranea alla “devastazione” in atto, vale a dire Il Movimento Cinque stelle di Beppe Grillo, affidando le chiavi del Campidoglio a Virginia Raggi, giovane esponente grillina.
Fin qui la “storia” recente, una “storia” che potrebbe ripetersi a livello nazionale dato che i sondaggi d’opinione rivelano (o, almeno, rilevavano sino a poco tempo fa) che, nel caso in cui s’andasse oggi alle urne, i Cinque stelle potrebbero esser chiamati alla guida del paese. La realtà, tuttavia, insegna che non esistono bacchette magiche in grado di risolvere, in un colpo, i problemi di una città, né quelli di una nazione. Un vecchio politico era solito ripetere che “problemi complessi non possono avere soluzioni semplici”. Quel che accade a Roma lo sta ampiamente dimostrando.
Roma è nel caos e l’illusione che i suoi problemi potessero risolversi affidando la guida della città a Virginia Raggi s’avvia mestamente al tramonto.
Non vogliamo entrare nel merito dei risvolti giudiziari della vicenda che la coinvolgono. E non abbiamo alcuna preconcetta ostilità nei confronti della sindaca (termine orrendo che va tuttavia usato per non urtare la suscettibilità delle femministe). Al contrario, confessiamo di avere, per lei, una certa simpatia, sia per le trappole che quotidianamente le pongono i suoi stessi compagni (a proposito: ma non sostenevano la necessità di agire sempre in nome della trasparenza? Quanta poca ce n’è in questa vicenda!), sia perché ci sembra ingenuamente caduta in quell’autentico tritacarne che è la gestione del potere.
Purtroppo, come diceva Herman Melville, il grande scrittore americano autore di “Moby Dick”, “una natura inesperta, difficilmente avverte e, forse mai, quei presagi che la mettano in guardia contro le più sottili insidie ai suoi danni tramate dai propri simili”.
Ma, detto questo, non possiamo fare a meno di rilevare che “governare necesse est” e che l’azione di governo, specialmente in situazioni complesse come quella di Roma e dell’intero paese, non può essere affidata a dilettanti della politica ai quali manca non soltanto la necessaria esperienza, ma anche quell’indispensabile carica di cinismo che, purtroppo, l’esercizio del potere comporta.
Diciamolo, dunque, brutalmente, alla napoletana: governare Roma, per Virginia Raggi, “non è cosa sua”. E forse, per i grillini, governare l‘Italia “non è cosa loro”.