di Carlo Alberto Paolino
La terra trema e trema frequentemente, parlare di eventi eccezionali è un errore. In media in Italia abbiamo un terremoto importante ogni tre anni, in particolare, dal 1900 ad oggi si sono verificati 35 terremoti molto forti (magnitudine almeno 5.8), alcuni dei quali sono stati catastrofici. Il più forte tra questi è il terremoto che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria. In Campania, epicentro Irpinia sono stati quattro, più o meno uno ogni venti anni (1910-1930-1962-1980). Un disastro. E poi da queste parti abbiamo anche un altro grande fattore di rischio, il Vesuvio
Il Vesuvio è l’icona della forza, (oltre a quella spaventosa del 79 dopo Cristo che distrusse Ercolano e Pompei ha segnato altre undici eruzioni) la minaccia delle potenze infernali. L’ultima eruzione del Vesuvio è di 73 anni fa, il 12 agosto 1943, con la fuoriuscita della lava da una bocca al piede del conetto del vulcano. L’eruzione vera e propria, però, l’ultima, iniziò in seguito, nel pomeriggio del 18 marzo 1944 e si protrasse fino al 29 marzo.
I paesi più danneggiati dai “depositi piroclastici da caduta” furono Terzigno, Pompei, Scafati, Angri, Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Pagani, Poggiomarino e Cava de’ Tirreni. Gli abitanti di San Sebastiano al Vesuvio, Massa di Somma e Cercola furono costretti all’evacuazione. Napoli, invece, fu favorita dalla direzione dei venti che allontanarono dalla città la nuvola di cenere e lapilli.
Un passato lontano per un vulcano acquietato? Magari. Uno studio pubblicato nei mesi scorsi dal vulcanologo della New York University Flavio Dobran ci ha sbattuto in faccia quella che secondo alcuni scienziati è invece l’amara realtà. Una sorta dell’Apocalisse che prevede lacrime e sangue, una seconda Pompei.
La catastrofe in meno di un quarto d’ora. “Valanghe di fuoco rotoleranno sui fianchi del vulcano alla velocità di 100 metri al secondo e una temperatura di 1000 gradi centigradi, distruggendo l’intero paesaggio in un raggio di 7 chilometri spazzando via case, bruciando alberi, asfissiando animale, uccidendo forse un milione di esseri umani.”
Aiuto, si salvi chi può. Ma siamo pronti ad una catastrofe di tale portata, che cosa si è fatto sino ad ora? Certo esiste il famoso piano evacuazione della Regione varato nel 2001 e aggiornato nel 2007, il cosiddetto piano per l’emergenza Vesuvio.
Quattro i livelli di allerta considerati. Al quarto livello (allarme) la popolazione dovrà lasciare obbligatoriamente la zona rossa nel giro di 72 ore per trasferirsi nelle Regioni “gemellate”. Ma già in fase di preallarme, il livello precedente, dovranno essere evacuati i malati in ospedali e case di cura, trasferiti i detenuti nelle carceri, e dovranno essere messi in sicurezza i beni culturali.
Per il trasferimento “assistito” dei 672 mila residenti dei Comuni della zona rossa dalle “aree di attesa” alle “aree di incontro” sono previsti 500 autobus che effettueranno 4365 corse al giorno. E visto come funzionano i trasporti in Campania, meglio non pensarci… Il piano individua 21 “gate” di “primo livello” per l’accesso alla viabilità primaria. E saranno 19 Regioni italiane (tutte eccetto la Campania) e le Province autonome partecipano all’accoglienza dei residenti della zona rossa e provvederanno al loro trasferimento dalle “aree di incontro” alle strutture già individuate.
E’ quindi tutto predisposto, gli abitanti dell’area a rischio ( 25 i comuni interessati) ora sanno dove andare se scoppia l’emergenza. Quelli di Portici in Piemonte, fra Alessandria e Torino, quelli di Torre del Greco e Somma Vesuviana in Lombardia, da Milano a Bergamo a Brescia, e quelli di San Giuseppe Vesuviano e Pomigliano d’Arco in Veneto…. Si salvi chi può…