Adolfo Mollichelli

Adolfo Mollichelli

Giornalista. Ha lavorato con il Roma ed il Mattino. Ha seguito, tra l'altro, come inviato speciale cinque Mondiali, altrettanti Europei, nove finali di Campioni-Champions e l'Olimpiade di Sydney

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Il tramonto delle notti magiche

di Adolfo Mollichelli

Mai una parola fuori posto. L’Azeglio era forgiato nella roccia come uomo e dentro aveva il dna della signorilità autentica. Nativo della dolce terra romagnola finì col diventare figlio adottivo della Leonessa, ma non aveva artigli. Un uomo di sport tra uomini che lo sport descrivono. Avrebbe concesso un’intervista anche al collega poco noto della Gazzetta di Forlimpopoli. Perché era fatto di pasta buona e di gentilezza innata.

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Azeglio Vicini

Con l’Azeglio si conversava anche dopo gli incontri di rito. Aveva il piacere di farlo. La turris eburnea della supponenza l’avrebbe volentieri disintegrata. Trattava allo stesso modo colossi come Brera e Pacileo ed i colleghi che si affacciavano per la prima volta nel mondo dell’azzurro della Nazionale.

Una vita nel calcio e per il calcio. Mediano da giocatore, federale da tecnico. Come Bearzot,il vecio. Funzionava in tempi lontani la scuola degli azzurri per sempre. La lunga trafila nelle nazionali minori (dieci anni alla guida dell’Under 21), l’approdo infine all’azzurro più azzurro. Fino alla cavalcata walchiriana delle indimenticabili notti magiche vissute attraverso la melodìa dal crescendo rossiniano innalzato ad inno dalle voci graffianti di Edoardo Bennato e di Gianna Nannini.

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Adolfo Mollichelli

Avrebbe meritato di vincere il titolo mondiale quell’Italia di forza e di bellezza messa su dall’Azeglio. “Arriva un brivido e ti trascina via”, come i gol lampo rivisti negli occhi da folle di Totò Schillaci o le lievi carezze alla sfera di Robertino Baggio il Divin Codino.

Il grande sogno svanì a Napoli nel tempio che per una notte di luglio non fu maradoniano. Totò e Caniggia. Fallirono i rigori Donadoni e Serena. Restava la finalina per il terzo posto che gli azzurri conquistarono sull’Inghilterra, a Bari.

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Cercò Diego di trascinare il pubblico napoletano dalla sua parte. Ma quella notte del 3 luglio non vi riuscì. Certo, fu battaglia di sentimenti, Ma quella notte il napoletano autentico si sentì “europeo scontento” e mise da parte l’ampollina con le lacrime di Berlusconi, la teca che a Spaccanapoli custodisce un filo di capello del pibe, l’orgoglio per lo scudetto numero due da poco vinto. “Ho provato una grande delusione”, l’Azeglio scolpì queste poche parole a caldo nel ventre del San Paolo. Poi, gli toccò replicare alle critiche mossegli: dalla formazione iniziale, ai cambi, alle marcature. In quei momenti, pensai come fosse inappropriata l’ingratitudine.

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Cinque anni fa, al compimento degli ottanta anni, l’Azeglio dichiarò: “Sono soddisfatto della mia vita, ho avuto momenti felici e altri meno, ho ricoperto incarichi importanti, comunque sia mi sono proprio divertito”.

Poi, arriva un brivido e ti trascina via. Ciao Azeglio, gran signore del calcio. Ti sia lieve la terra.

 

 

 

 

 

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