di Adolfo Mollichelli
Si sta come, d’autunno sugli alberi, le foglie. Davide Astori, ti sia lieve la terra. Il calcio s’è fermato, giusto così.
Sabato, gli incroci tra le prime quattro in classifica. Più Spal-Bologna, vittoria degli estensi. Giornata spartiacque, s’era pensato e scritto. La Juve cala il jolly Dybala in pieno recupero e affossa la Lazio che aveva espugnato lo Stadium all’andata. Il Napoli crolla in casa strabattuto dalla Roma.
I bianconeri dovendo recuperare la partita con l’Atalanta sono da considerare virtualmente primi, con due punti di vantaggio.
Non si scherza con gli dei. Anche se appartengono all’olimpo olandese. E Roma fu pagana. Il fascino del calcio sta nella sua stranezza. In quell’alone di imprevedibilità e di storie diverse e pure sempre eguali. Perciò affascina poeti e scrittori. Si può dire tutto ed il suo contrario. Perciò ne disquisiscono in tanti, ma discettare non sempre vuol dire capirne.
Giornata cruciale, non decisiva. Manca ancora tanto alla fine del romanzo, dovranno essere scritti altri undici capitoli più appendici varie.
Il Napoli resta bello, a volte anche impossibile. Sul volto di madama, sono tante le rughe che vogliono dire esperienza da vendere. Vigilia di sondaggi (sono di moda) tra esperti e addetti ai lavori e critici e criticonzi. Chi rischia di più tra Napoli e Juve? Maggioranza delle risposte: la Juve. E ci stava. La Lazio è un’altra squadra bella e impossibile.
E Allegri aveva a disposizione in avanti i soli Mandzukic e Dybala, il croato imbolsito dalla fatica e l’argentino reduce da un lungo infortunio.
Poi, una sfilza di difensori e medianacci. La Roma, dicevano, non avrà scampo a Napoli di fronte agli olandesini di Sarri-Michels. E’ accaduto quel ch’è accaduto.
Quando Dybala ha infilato Strakosha mancava poco meno di un’ora all’inizio del derby del sole in programma di notte. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. Allo spirare di una partita inguardabile è sbocciato il fiore Dybala che chiamano la joya: tunnel a Felipe, raggomitolamento sul pallone per difendersi dal truce Parolo e sinistro fiondante. Di gol così ne ho visti fare a Maradona e prima ancora a Sivori.
Possibile che aver saputo del successo di madama e aver visto (probabilmente) il golazo dell’argentino abbia prodotto un pizzico di disillusione negli azzurri. Ma tutto era tornato ben presto a posto.
Con la rete di Insigne dopo pochi minuti. Dunque, nessun alibi, nessun contraccolpo. Via col vento. Noi siamo gli epigoni degli orange di una volta e voi siete più rossi che gialli, dalla vergogna.
Al di là del rocambolesco pallonetto di Under perfezionato da Mario Rui (l’inizio di una serata da incubo per il portoghese), sinonimo di un pizzico di iella, la Roma cominciava ad essere indiscussa padrona del campo. Giocando in undici (che scoperta, direte) mentre l’unico olandesino azzurro a dannarsi l’anima era little big man, cioè Lorenzo il magnifico da Frattamaggiore che ingaggerà un duello personale con Alisson, il portierone di Pallotta e della nazionale brasiliana. Roba da non crederci.
E gli altri olandesini azzurri? Poco o niente. E come mai, direte. Eccoci: Di Francesco ha letteralmente imbrigliato Sarri-Michels. Con il pressing, con coperture preventive uomo contro uomo anche a centrocampo, con le linee strette ma non passive che impedivano le trame euclidee dell’eterna bellezza, spesso fine a se stessa. In parole povere, Sarri-Michels ci ha capito poco o nulla, tant’è vero che non è riuscito a trovare le contromosse adeguate. Se guardi sempre il drone, poi capita che perdi di vista l’adessità (il presente come l’unica e possibile identità del tempo) come sostiene Bruno Pezzella, saggista e scrittore. Tradotto: fare qualcosa di diverso all’istante, se l’avversario ti sta incartando.
Ricordate l’andamento di Napoli-Juve e quello di Napoli-Inter? Immagino di sì. Solo che avrebbe fatto bene a ricordarsene el jefe in onore del quale è nato addirittura il movimento sarrista.
Sottovalutata la reale consistenza della Roma che è una signora squadra e lo sta dimostrando anche in Europa. Le coppe non sono una noia, aiutano a crescere. Nella mentalità e nell’adattamento alla contingenza. C’era un filo (logico) da seguire, ma Sarri non è Teseo. De Rossi, Strootman e Nainggolan hanno messo in ombra il centrocampo azzurro.
In pillole. Reina spesso capisce in ritardo dove finirà la sfera calciata dagli avversari. Le troppe lodi ricevute (anche da parte di chi scrive) hanno ‘mbriacato Mario Rui: quel tacco a servire Perotti è materia per la Gialappa’s. Albiol fregato dal drone: va bene guardare la palla, ma valutare anche la presenza dell’avversario è cosa buona e giusta, specie se si chiama Dzeko ed è uno dei migliori centravanti che ci sono in circolazione in Europa.
Nota: Hamsik quando non c’è, si vede e si sente. Zielinski è un fior di giocatore ma è presto per paragonarlo a De Bruyne. Dedica a Insigne: la solitudine dell’ala sinistra.