di Ottorino Gurgo
Diceva Leonardo Sciascia che un orologio fermo ha un vantaggio rispetto a un orologio guasto ed è che l’orologio fermo, nel corso di ventiquattr’ore, almeno per due volte, a differenza dell’altro, dà l’ora esatta.
Forse Matteo Salvini dovrebbe far sua l’affermazione di Sciascia e porre un freno all’estenuante ed esasperante movimentismo con il quale ritiene di poter qualificare la propria presenza nella vita politica del nostro paese, occupare ogni spazio, sovvertire ogni regola e affermarsi in tal modo come l’uomo forte del sistema politico italiano.
Questo esasperato movimentismo gli fa dimenticare che la democrazia è fondata su regole ben precise che egli sembra ignorare e che vanno, invece, rigidamente rispettate, altrimenti si precipita non nel populismo, ma nell’anarchia o, peggio, nella dittatura..
Ci riferiamo per uscir dal generico, alla vicenda che lo vede protagonista, dopo la sentenza della Corte di Cassazione che ha intimato al suo partito di restituire 49 milioni di euro alle casse dello Stato. Non vogliamo, in questa sede, entrare nel merito della sentenza, limitandoci ad osservare che, se è vero che il reato del quale la Cassazione si è occupata risale al periodo in cui la Lega era guidata da Umberto Bossi, esiste, comunque, una “responsabilità oggettiva” del partito che può, poi, ove lo ritenga, rivalersi sull’ex segretario, diretto responsabile dell'”ammanco”.
Quel che ci sembra, invece, particolarmente grave è che il ministro dell’Interno, per eludere il verdetto dei giudici, abbia ritenuto di rivolgersi al Quirinale , mettendo in grave imbarazzo il capo dello Stato che è stato “costretto” ad incontrarlo, facendo tuttavia diffondere in lungo e in largo la precisazione che il colloquio non aveva nulla a che vedere con la sentenza della Magistratura (francamente riteniamo che sarebbe stato preferibile che Mattarella non lo ricevesse proprio).
La richiesta di Salvini di discutere con il presidente della Repubblica il verdetto della Cassazione rivela, comunque, che il leader leghista non tiene in alcun conto quella che è una regola fondamentale della democrazia, vale a dire che quella ripartizione dei poteri che Montesquieu pone a fondamento di uno Stato di diritto.
Delle due l’una: o il nostro Salvini ignora tale regola o, conoscendola, non ne valuta l’importanza e ritiene che essa possa essere tranquillamente ignorata. Nell’uso caso è nell’altro, la cosa ci sembra assai grave, provenendo, tra l’altro, da un ministro della Repubblica.
Non si tratta, infatti, di farsi sostenitori o meno di un generico populismo. Ad esser messe in discussione sono le basi stesse della convivenza democratica il che induce a considerare il comportamento di Matteo Salvini come un triste presagio di quel che potrebbe accadere nel nostro paese nel caso in cui il potere ch’egli attualmente detiene (e che già di per sé non è poca cosa) dovesse ulteriormente ampliarsi e consolidarsi.