Uomo non può essere dimenticato, se ha nel cuore e nell’intelletto le dinamiche attive del Pensiero: al tempo della Regina Elisabetta II quando un reo, in procinto di essere impiccato dimostrava di saper leggere dei versi, anzi un verso di una poesia, veniva immediatamente liberato. Lo chiamavano “il verso del collo”.
Le prove d’esilio è un’opera (di prossima pubblicazione) di Michele Caccamo e Franz Krauspenhaar. Quattro mani che si impastano, coeve, in una lirica, in prosa e poesia; un sordo e straziante urlo incapsulato in una dimensione asfittica, surreale e tragicamente vera: la prigionia, diversamente penetrata sotto pelle. Michele Caccamo vive per quattro lunghi mesi la temporanea privazione della libertà personale, in custodia cautelare in carcere e successivamente agli arresti domiciliari; Franz Krauspenhaar è rinchiuso nella stallo temporaneo di un patologico avvilimento. Gli autori riescono, grazie ad un isolamento purificatorio nella Poesia, a delineare un quadro preciso, perfettamente nitido e lucido della loro consimile condizione di emarginati, esiliati dalla società, e ci aiutano nell’elevazione con questa opera letteraria; quasi fosse un trattato di sopravvivenza o un esperimento umano di kafkiana memoria in cui calarci: veniamo catapultati in segmenti di un tempo, dove c’è il distacco dalla vita, dove sono immobilizzate due preziose menti della nostra letteratura contemporanea, fissate nel blocco della reazione impossibile. Entrambi esercitano senza difesa, nei confronti del lettore, la loro momentanea sorte. E ce la offrono con una straziante autentica umanità. I fiotti di inchiostro dei manoscritti di Michele Caccamo e la polvere del toner di Franz Krauspenhaar si mescolano in un denso medicamento, il cui principio attivo è la dignità. Entrambi sanno che per uscire dalla condizione, in cui sono trattenuti, non devono avere commiserazione di sé come non consentono a nessuno di averne. La verità è cruda e contestualmente prepotente. Un recalcitrante lavoro, un paradigma di stile, non solo letterario, che induce a profonde e spirituali riflessioni. Chi vive in una condizione claustrofobica e coercitiva involontaria non è necessariamente un afflitto, che debba essere consolato e compatito o, nel peggio, aprioristicamente giudicato, e così non deve essere lasciato solo, nell’indifferenza della società.
ha un suo organismo
che mi dà pugni nel sangue
e ben calibrati nel cuore
in tutte e due le braccia
per prova che sono un servo
mi frantuma le ossa
fa bene a non avere pietà
io rantolo da centonove giorni
nella mia deludente mollezza
e non guardo i miei figli
che hanno aperte le mani
tenendomi in onore
che vogliono svegliarmi
dopo avermi amato di baci
con un’unghiata negli occhi
Bene! Siamo già pronti per incontrarti in una lettura (si spera, vero????) al Salone del Libro a Torino