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Il Pazzo del Nazareno

di Gianpaolo Santoro

Quattro anni fa per essere eletto giudice della Consulta fu necessario prelevare di peso la povera Marianna Madia che aveva partorito il giorno prima e farla votare. Ebbe così al quarto scrutinio 572 voti, uno più del quorum. Ora lo si vuole Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella, Sergiuzzo.

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Non moriremo democristiani, Il Manifesto

Mentre i grandi elettori si trasformano in una grande redazione, fra chi vota Vittorio Feltri e chi Luciana Castellina nel mare di schede bianche e qualche Imposimato candidato di rete, gli uomini della Lega mostrano la prima pagina del Manifesto del 28 giugno 1983. “Non moriremo democristiani”.

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Sergio Mattarella

L’uomo nuovo è uno ormai dei pochi ancora in circolazione che può vantare i famosi  quattro quarti di cosiddetta “nobiltà Dc”. Figlio di Bernardo, già membro della Costituente e pluriministro, e, soprattutto fratello di Piersanti, presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia il giorno della Befana del 1980, davanti casa in via della Libertà a Palermo. Trent’anni dopo riecco come d’incanto ricomparire, la grande balena bianca ricomparire fra le onde del patto del Nazareno, per ingoiare tutto e tutti. Mamma Dc, la mamma è sempre la mamma.

E’ ricomparso anche don Ciriaco De Mita, ottantasette anni, sindaco di Nusco,  del resto c’è Sergiuzzo in prima linea, come poteva essere diversamente? Esembra rivedere all’opera la corrente dei “basisti”, variante della Dc di sinistra, quella non voleva stupidi fra le sue fila e che non sorrideva mai. Vedessero il premier di oggi nato nei telequiz e cresciuto con i twitter impallidirebbero. Franco Salvi, soprannominato “2 novembre”, Mino Martinazzoli, conosciuto come “il cipresso”, Pietro Padula detto “bonjour tristesse”, Tarcisio Gitti “cripta”, sono questi i politici che hanno allevato Sergio Mattarella, uno degli ultimi rappresentanti di un mondo che sembrava scomparso.  Ed anche Sergiuzzo è così. Cupo, grigio, schivo, moralista e perbenista, incapace di ridere e di sorridere, un sacerdote laico in perenne Quaresima. Fece bene Bartezzaghi a farne con spiccata ironia l’anagramma del nome “Mostrate allegria”.

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Matteo Renzi sfodera il pugnale

Renzi, il rottamatore restauratore. Doveva essere il nuovo che avanza: eppure il suo presidente è andato a trovarlo nella prima Repubblica, fra quei politici che doveva mandare definitivamente a casa, quelli che impedivano all’Italia di essere un Paese per giovani.

Doveva essere un politico, ed è andato a scegliere quello che la politica attiva aveva deciso di abbandonarla da una vita ritenendo ormai che il suo compito fosse finito, andandosi a rifugiare nel Csm dei giudici amministrativi, ruolo nel silenzio, anche se ben retribuito. Come politico, uno zombie, insomma.

Doveva essere un politico conosciuto a livello internazionale, che abbia ricoperto incarichi istituzionali importanti, che sia conosciuto e popolare tra gli italiani, stimato all’estero: è sta ripetuto sino allo sfinimento in questi giorni l’identikit del nuovo Presidente. Ed allora guardando un po’ alle spalle, su dodici elezioni svoltesi dall’inizio dell’era repubblicana, in 9 casi la vittoria è stata appannaggio di un ex presidente della Camera (8 volte) o del Senato (in un solo caso). Mattarella non ha mai ricoperto nessuna delle due cariche. Conosciuto a livello internazionale? Neanche con uno sforzo di grande fantasia si può credere che il nome di Mattarella susciti soddisfazione o apprezzamenti da qualche parte del mondo. Doveva essere il Presidente delle riforme, a cominciare da quella elettorale. Ed ironia della sorte l’Italicum, la riforma voluta da Renzi, seppellisce il Porcellum ma anche il Mattarellum, la legge che porta il suo nome, per tre quarti maggioritaria e per il 25 per cento proporzionale…

Quirinale: non scatta quorum, fumata nera a primo voto

Doveva essere il presidente arbitro, al di sopra delle parti, l’uomo d’equilibrio, capace di mantenere la necessaria equidistanza per essere il presidente di tutti. Ed allora c’è chi enfasi ha ricordato che Mattarella si dimise da ministro perché in disaccordo con la legge Mammi che fotografava la situazione di duopolio tra Rai e Fininvest, come per dipingere un uomo che per la difesa delle proprie idee era disposto a rinunciare alla poltrona. Dimenticando di spiegare che proprio quella decisione fu ordinata De Mita che lo obbligò a dimettersi assieme ad altri quattro ministri della sinistra Dc (Misasi, Martinazzoli, Francanzani e Mannino) per indebolire il governo Andreotti, uno sporco gioco di correnti e di potere, insomma, all’interno della Democrazia Cristiana, altro che senso dello Stato. Ed è, altresì, difficile immaginare che possa definirsi arbitro chi definì l’ingresso di Forza Italia nel Partito Popolare europeo “un incubo irrazionale” e che lottò, invano, per la fuoriuscita del partito di Berlusconi.

++ Quirinale: al via prima votazione per presidente ++

Un presidente rigoroso, scrupoloso. Si sente ripetere spesso. Certo nulla da dire. O quasi. Perché non possiamo dimenticare che Mattarella è stato coinvolto nella Tangentopoli siciliana degli anni ’90 per finanziamento illecito del partito (che coinvolsi tutti dai dc Calogero Mannino, Rino Nicolosi, Angelo La Russa e Severino Citaristi, ai socialisti Nicola Capria e Nino Buttitta, al pds Michelangelo Russo) tangenti versate a deputati e segretari politici con l’obiettivo di orientare gli appalti e la spesa pubblica in Sicilia. Mattarella fu accusato dall’imprenditore siciliano Filippo Salamone di avere intascato cinquanta milioni di lire, più buoni benzina. Mattarella giurò: “Non ho mai avuto niente. Il contributo non è mai esistito”. Ma la verità era un’altra. Messo alle strette, Mattarella ammise di aver detto il falso, confermò la benzina, non i soldi. Riuscì a cavarsela per un soffio come tanti nel periodo di Tangentopoli, come tanti della sinistra democristiana: l’imprenditore non fu completamente creduto (perché non c’erano riscontri dei soldi consegnati in contanti) e i buoni, per un valore di tre milioni, furono giudicati un peccato veniale. Assolto. Ma la bugia resta.

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Berlusconi

Con Mattarella si incomincia con Mattarella si finisce. Un solo nome, più che una scelta condivisa, una imposizione condivisa. Renzi manda all’aria il patto del Nazareno, da un calcio all’innovazione, una nuova generazione al comando, le donne e tutta la narrazione della rottamazione. Cerca di ricompattare il Pd, accorpare l’aria tsiprasiana perennemente in cerca di qualcosa, i fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle, forza la mano. Ora bisognerà vedere che cosa succederà sino a sabato. Come intenderà reagire Berlusconi, se deciderà di subire o di mandare all’aria il Patto del Nazareno e che cosa intenderà fare Alfano. Perché lo strappo di Renzi non è solo a Forza Italia ma anche al Nuovo Centrodestra che sta al governo. Ora bisogna solo chi sapere chi è il Pazzo del Nazareno

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