di Gianpaolo Santoro
Ιντιπέντενζα, già indipendenza. Il vecchio, grande, inarrestabile cuore greco ha battuto forte per una notte. La fontana rossa, le bandiere, la gioia, l’orgoglio. Vade retro Europa. Vade retro Germania.
Ma all’alba dei sogni di gloria, le banche continuavano ad essere chiuse, i bancomat a 60 euro, una drammatica, quotidiana lotta di sopravvivenza. Ed il conto alla rovescia è inesorabilmente cominciato. Del resto si sapeva, ci troviamo tutti, come ha scritto Paul Krugman “in un terreno spaventoso e sconosciuto”.
E così venne il tempo dell’όχι ma venne anche il tempo del nai. E così Alexis (Zorbas) Tsipras ha rilanciato il suo europiano e questa volta mette sul piatto della bilancia quei sei greci su dieci che hanno detto no all’austerity e la faccia rassicurante e accomodante di Euclid Tsakalotos che ha preso il posto dei quell’Highlander di Vaorufakis che è passato sull’Eurogruppo come in ciclone, spazzando tutto via. Cinquanta sfumature di Grecia. Anzi cinquantatré (miliardi).
Atene questa volta si presenta col ramoscello d’ulivo ha offerto ai creditori il suo piano di ripresa, nuove tasse e aumenti delle aliquote in vari settori (compresi l’Iva nelle isole, prodotti di lusso e fascia dei più ricchi), lotta all’evasione fiscale, incremento progressivo dell’avanzo primario di bilancio (dall’1 per cento del 2015), tagli alle pensioni (eliminando quelle baby), alle spese militari e alle esenzioni fiscali per gli armatori: insomma avrà vinto pure il no al rigore, ma poi sempre ad una politica di lacrime e sangue si ritorna.
C’è però un punto fermo, per non vanificare referendum ed una intera azione di governo, una misura necessaria al premier greco per vincere le resistenze interne al suo partito Syriza dove l’ala più radicale non appare disposta ad accettare le proposte della Ue senza portare a casa qualcosa di realmente significativo: la cancellazione di parte del debito pubblico ellenico. E qui si ritorna al punto di partenza, al muro contro muro: Alexis Tsipras considera la riduzione parziale del debito imprescindibile, Angela Merkel, invece, la ritiene “non in discussione, fuori questione”. Nella insolita posizione di mediatore si ritrova Wolfgang Schäuble il ministro in carrozzina delle Finanze tedesco, il falco, una storia che sarebbe tutta da ricordare.
Venticinque anni fa in una birreria di Oppenau nel Baden-Württemberg in cui si teneva un raduno elettorale, tal Dieter Kaufmann estrasse una pistola e sparò contro Schäuble. Il politico della Cdu sopravvisse all’attentato, ma colpito alla mandibola e alla colonna vertebrale rimase paralizzato negli arti inferiori. Uno che ha visto la morte con gli occhi, figuriamoci se può avere paura dell’uscita della Grecia dall’euro?
Tornando al piano greco Schäuble ha ipotizzato di discutere solo un alleggerimento con riduzione degli interessi e allungamento delle scadenze. E non vuole sentire parlare di analogie col dopoguerra, quando l’Europa cancellò oltre la metà del debito tedesco per consentire la ricostruzione e la ripresa economica in Germania.
Nella lettera al presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e al direttore generale dell’European Stability Mechanism Klaus Regling il governo greco secondo varie fonti, chiede in cambio 53,5 miliardi di nuovi prestiti per onorare le scadenze del maxi-debito fino al 2018 e per assicurare la stabilità del sistema finanziario”. Non solo. L’accesso a 35 miliardi di fondi strutturali e agricoli dell’Ue stimolerebbe la crescita e l’occupazione.
Con questo continuo stop and go, Tsipras ha nuovamente ribaltato il tavolo delle trattative. Una mossa che obiettivamente mette in un angolo la Merkel, ora con questo piano di dolore e speranza è, più complicato, lasciare la Grecia al suo destino. Anche il presidente del Consiglio Ue, il polacco Donald Tusk, fedelissimo della Cancelliera, si è sbilanciato dicendo che alle riforme elleniche devono corrispondere “proposte realistiche dei creditori sulla sostenibilità del debito, per creare una situazione in cui tutti risultino vincitori”.
Già perché, il sogno del parlamento europeo è che da questo drammatico braccio di ferro non escano né vincitori, né vinti. Non tengono conto che il popolo greco, come altri Italia in testa, ha già perso la sua battaglia contro l’austerità, contro la povertà, contro il futuro.