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Ma un coglione
può essere il cervello?

 di Gianpaolo Santoro

C’è una cosa che mi turba da qualche giorno e che ha reso ancora più drammatica, insopportabile, inconcepibile la mattanza di Parigi, l’eccidio al Bataclan, il terrore, l’orrore, le camere riunite a Verasailles per la dichiarazione di guerra, l’incontro dei grandi del mondo ad Antalya, gli uomini che hanno in mano il nostro futuro ma anche la dignità del nostro passato. C’è una cosa che al di la delle fragili storie di giovani vittime stroncate in un locale storicamente sotto il mirino perché di ebrei e vicino alle battaglie degli ebrei (e che non era difficile, quindi, prevedere potesse essere un grande tiro al bersaglio come lo era del resto anche Charlie Hebdo) che mi disturba profondamente e alla quale coscientemente mi rifiuto di credere: è possibile che una manciata di invasati ragazzini pur armati fino ai denti possano tenere in scacco un intero Paese, un intero continente, non per pochi minuti ma addirittura per sei giorni?

 Ma c’è di più, drammaticamente molto di più. Ma è possibile che un coglione come tal Abdelhamid Abaaoud al-Bajiki, (il belga) che si fa più selfie e video di Belen, una volta con in mano il mitra, un’altra i pesci rossi, che si fa fare intervista con tanto di foto in copertina su Dabiq, la rivista patinata on line dell’Isis, come se stesse su Vanityfair, che si definisce “il turista del terrorismo” perché va e viene dall’Europa indisturbato a suo piacimento (“la mia immagine su tutti i media ma gli infedeli sono stati resi ciechi da Allah: sono anche stato anche fermato da un agente che ha messo a confronto la mia faccia con la mia foto da ricercato e non ha trovato nessuna somiglianza. Questo non è stato altro che un regalo di Allah“) può essere, insomma, che un coglione di tale risma sia la mente del gruppo jihadista che ha stravolto la Francia, che tiene in scacco il vecchio Occidente?

Abdelhamid

Abdelhamid Abaaoud al-Bajiki

Leggo che questa cellula jihadista ha agito con ferocia, lucida, abilità e scaltrezza, che c’era un piano ben architettato, appoggi, fiancheggiatori, basisti, insomma qualcosa che funziona e che sa di efficienza, tutto opera del cervello, il “belga” (al-Bajiki) così come era conosciuto. Eppure, al di là della ferocia, ci si imbatte in un gruppo di fuoco che comunica con i cellulari e se ne libera in un cestino a due passi dal luogo strage, che lascia auto cariche di armi e col biglietto di un parcheggio di Molenbeek (cioè casa loro) meglio di un navigatore satellitare, che “prende solo per bere e pregare” per pochi giorni un appartamento senza mobili e senza letti a Saint-Denis (proprio nella zona dello stadio, cioè dove si voleva compiere l’attentato al presidente Hollande) tanto per non dare nell’occhio, che manda a fare i sopralluoghi le stesse persone che poi compiono l’operazione, un commando dove, ancora una volta, uno è imparentato con l’altro, così che se ne individui uno fai bingo perché li prendi quasi tutti.

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Abdelhamid Abaaoud

Un gruppo, in poche  parole, tanto spietato quanto sprovveduto, soprattutto perché composto anche da personaggi noti, alcuni già arrestati, tutta gente di certo non insospettabile, tutti provenienti dalla banlieue parigina o dal piccolo comune di Molenbeek poco meno di sei chilometri quadrati, 100mila persone, più del sessanta per cento immigrati provenienti dal Nord Africa e da altri paesi arabi, praticamente tutti mussulmani.

bf5a32ec0d922c3d8a0d612fc667deb9E lascio in sospeso la vicenda sconcertante ed incredibile dei passaporti, perché davvero non posso veramente credere che ogni volta che “vanno in guerra” si portano il passaporto, ne sono stati ritrovati più sui luoghi delle stragi a Parigi che in un aeroporto in un anno. Ma com’è o come non è sta di fatto che questi jihadisti una volta sotto la bandiera di Al-Qaida poi sotto quella dell’Isis sono dieci anni che danno scacco matto alle Intelligence di mezza Europa e compiono attentati: Madrid (191 morti), Londra (52 vittime), Amsterdam (il produttore cinematografico Theo Van Gogh), Copenaghen (due persone uccise e cinque poliziotti feriti, ma gli obiettivi erano l’ambasciatore francese in Danimarca Franois Zimeray e il vignettista svedese Lars Vilks) e Parigi, le due mattanze in un anno. Si dirà: non hanno bisogno di un grande piano, la loro forza è il sacrificio “ʿamaliyyāt al-istishādiyya, ovvero le operazioni di testimonianza” cioè  testimoniare in modo drammatico la propria fede, insomma lo Shahīd : “l’impegno è sacro e doveroso, guerra compresa”. Ma sono pur sempre dilettanti (con in mano un kalashnikov) allo sbaraglio: eppure vanno e vengono, organizzano, sparano, uccidono. Fino a quando?

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