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Valente e il mistero buffo delle primarie

di Gianpaolo Santoro

 Erano trecento, erano Valenti e forti, sono bastati e chissà se sono morti. Di certo è morta la politica. Perché, nonostante si continui l’elegia delle Primarie, io continuo, così come sono regolate ed organizzate, a non capirle. Anzi le trovo un disastro. Trecento preferenze hanno fatto la differenza su trentamila votanti, cinesi e sedicenni compresi. Ma voti figli di che cosa?

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Antonio Bassolino e Valeria Valente

E così ha vinto la “giovane turca” di Piazza Mercato, così Bassolino ha perso la sua imbattibilità elettorale. Parricidio, l’allieva che supera il maestro, il nuovo contro il vecchio e chi più banalità ha più ne metta, queste primarie per designare il candidato del Pd a sindaco di Napoli, sono state uno lungo, sconfortante, straziante luogo comune, l’elenco del nulla. Solo una mobilitazione del potere, un esercizio muscolare fra correnti, clan, piccoli e grandi capibastone; un grande mercato di voto scambio che poi si tradurrà, nell’eventuale conquista di Palazzo San Giacomo, in posti nelle municipalizzate, consulenze, contratti e piccoli stage, piccoli appalti. Storie di ordinarie clientele di ieri e di oggi (vedi la Regione).

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Marfella, Sarracino, Bassolino e Valente

La domanda è talmente semplice da essere imbarazzante: ma che cosa ha spinto trentamila napoletani ad esprimere la loro preferenza fra i quattro candidati in lizza per la coalizione (c’erano anche Marfella che si è autovotato ed il giovane Sarracino che doveva ritagliarsi uno spazio)? Perché per Napoli è meglio la Valente di Bassolino?  La scelta da che cosa è stata indirizzata?

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Il mistero buffo di queste primarie ( brogli a parte, ancora una volta denunciate irregolarità, tanto per cambiare, è uno scandalo continuo…) è che i candidati sono arrivati nudi al voto, hanno chiesto il consenso senza presentare un programma, un progetto di rilancio, una idea per la Napoli del terzo millennio. Niente di niente. Mi chiedo allora la consapevolezza del voto su che cosa è basata? In quindicimila saranno andati ai seggi per dare la loro preferenza alla Valente perché attratti dalla spigolosa montatura degli occhiali? Perché avevano nostalgia di una sindaca?

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O, forse, perché sono rimasti colpiti dal piglio con il quale la Valente ha assolto al ruolo di segretaria nell’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati, che come è noto è compito che appassiona e affascina le masse?

O perché, ancora, ne avranno ricordato le iniziative prestigiose e qualificanti di quando dieci anni fa (però i sedicenni avevano sei anni…) era assessore allo sport ed alle pari opportunità nella giunta di donna Rosetta: e chi può dimenticarsi il  “nonna-care” per dotare cinquanta vecchine di cellulari per ordinare la spesa da casa (così non dovevano più calare i caratteristici “panieri” dal balcone dei vicoli) o come quando realizzò “’O sole mio compilation” per incentivare l’uso delle canzoni napoletane in filodiffusione sui bus turistici?

Su, non scherziamo. Su cosa sono andati a votare questi affamati di democrazia domenica scorsa, che differenza c’era fra i duellanti al di là della  taglio di capelli? La data di nascita, obietterà qualcuno, questi sono renziani, quelli della rottamazione, la nuova classe dirigente del Paese, ricordate? Già, eppure hanno eletto neanche un anno fa come leader e governatore Vincenzo De Luca, 67 anni, che per vincere le elezioni aveva siglato uno storico “patto elettorale del nuovo” con Ciriaco De Mita, più di centocinquanta anni in due, il manifesto politico di “Cocoon”. E parlano del nuovo?

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De Luca e Valente

Ed allora torniamo al cuore del problema: le primarie sono piccoli congressi, senza regole, non si contano le tessere ma si contano le amicizie, sono una prateria dove ognuno pianta il suo paletto del potere. Cambiali che vanno all’incasso se si viene eletti.

E così queste primarie del nuovo, tanto per chiarirci, sono state l’ennesimo scontro vecchio di ormai venticinque anni nel Pci e via via tutte le varie “trasformazioni” fra De Luca e Bassolino, i sindaci di Salerno e Napoli: frustrazioni e ambizioni, vincitori e vinti, il trionfo di quella politica che ufficialmente si dice di combattere. Il solito vecchio, maleodorante, scontro di potere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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