di Mino Cucciniello
In seguito ad una grave crisi petrolifera, il primo dicembre del 1973 in Italia entrò in vigore la legge sull’austerity. Cioè una serie di restrizioni per il risparmio energetico: tra le tante c’era anche quella che obbligava tutti i locali pubblici a dover chiudere entro e non oltre la mezzanotte. Lo stesso orario era stabilito anche per far scattare il divieto assoluto di circolazione alle auto, che andava in vigore dal sabato notte sino alla mezzanotte della domenica.
E fu la fine del by night, l’ultimo respiro di quello che restava della dolce vita. Calò così il sipario sulla notte lasciando sgomento quel popolo di irriducibile che amava tirar notte fonda nei locali. A Napoli c’è un antico proverbio che recita: “fatta la legge trovato l’inganno“.
E mai fu tanto appropriato come quando il compianto Enzo Improta riuscì ad aprire ai primi di gennaio del 1974 alla Discesa Marechiaro una discoteca col nome di Giungla, che poteva funzionare anche dopo la fatidica mezzanotte, perché risultava essere un club privato. Il locale, per la verità non era bello soprattutto se confrontato con gli altri night cittadini, ma aveva la pista da ballo ben visibile da qualsiasi punto del locale e questo per un night è un grosso vantaggio: perché è come avere una grande vetrina e tutti possono vedere tutti, chi balla e chi sta seduto.
Ovviamente essendo l’unico locale funzionante che non aveva gli orari di Cenerentola, ci si può immaginare la folla che ogni sera si riversava alla Giungla, che apriva alle 22,30 ma che per “scaldare” ed entrare nel vivo la serata bisognava aspettare la fatidica mezzanotte quando il dj metteva il pezzo dei Matia Bazar “Stasera che sera” e di colpo si riempiva la pista da ballo. Un rituale che si ripeteva anche in chiusura: il pezzo d’addio alle tre di notte era “Buonanotte Fiorellino” di Francesco De Gregorio.
L’austerity si concluse con l’inizio dell’estate del 1974, ma erano bastati quei pochi mesi di quell’anno a far cambiare usi, abitudini e consuetudini al popolo dei nottambuli, che continuò a preferire il locale di Marechiaro agli altri.
La Giungla visse ancora un paio di stagioni di grande successo, la sua reginetta incontrastata fu la bella ed elegante Carola Limoncelli.
A questo cambio di rotta da parte della clientela molti degli storici locali iniziarono a chiudere, altri invece cambiarono gestione e vennero chiamati con altri nomi. Avvenne per il Lloyd che divenne Over 40 e lo fu anche per il celebre Trocadero che chiuse per far spazio negli stessi locali all’Antony Club, mentre lo Schiribizzo spense definitivamente le sue luci.
Anche la Mela non attraversò un periodo felice, la gestione dei Fratelli Campanino era passata al finanziere Ninni Grappone, che volle trasformare il locale soprattutto in un elegante ristorante, ma questa nuova destinazione non trovò grandi consensi da parte dei clienti.
Anche il Privè club di Parco Margherita, dopo un paio di anni non proprio molto soddisfacenti chiuse per essere riaperto da Piero Jossa con il nome di Sgu, che venne inaugurato con una bella festa che aveva come dress code: white.
Lo Sgu visse una bella stagione contribuendo a riportare nuovamente al centro città i tanti habitué della movida che tornarono a ballare sulla pista del riaperto locale con l’hit di Alan Sorrenti : Siamo figli delle stelle.
La Mela, invece, dopo la sfortunata gestione di Grappone venne rilevata dai fratelli Ferrara e da Tonino Colangelo, che pian piano la riportarono al suo iniziale successo. Purtroppo, questo nuovo successo, venne interrotto a causa di un incendio che distrusse il locale di via dei Mille.
In quel periodo, primavera 1978, nelle sale cinematografiche trionfava sugli schermi “La Febbre del sabato sera” che con i balletti di John Travolta portò nuova linfa al mondo delle discoteche che vennero ancor più affollate dai tanti aspiranti “Tony Manero”, che invasero anche La Mela quando fu riaperta al ottobre più bella ed accogliente che mai.
Oramai i tempi cambiavano ed anche i frequentatori del locali non erano più gli stessi. Ci fu un naturale e costante rinnovo generazionale molti dei veri e propri “pilastri” del by night cittadino cominciarono ad indossare le pantofole di sera ad esclusione del mitico comandante Giovanni Cafiero che continuerà imperterrito ancora per tanti e tanti anni ancora ad essere uno dei maggiori protagonisti delle serate cittadine.
A metà degli anni ottanta l’Antony club che aveva sostituito il Trocadero, venne chiamato Rosolino come il cognome del suo proprietario Antonio Rosolino, che proporrà una nuova formula per il locale dove si potrà contemporaneamente cenare e ballare. La proposta di Rosolino piacque molto e nonostante la grande capienza del locale il sabato sera se non si prenotava in tempo era difficile trovare un tavolo libero per andare ad ascoltare Alfredo Calizzi e Mita, due artisti da pianobar.
Ancora lo Sgu negli anni novanta cambiò nuovamente gestione passando nelle mani dell’esperto Tonino Colangelo che lo chiamò Chez – moi .
Con Tonino il locale del Parco Margherita ottenne subito un alto indice di gradimento grazie soprattutto alla professionalità di Colangelo che riusciva a mettere a loro agio i suoi tanti amici/clienti facendoli sentire come a casa .
Bellissime le feste che vennero organizzate, una per tutte la strepitosa serata durante la quale vennero consegnate le tipiche statuette degli oscar ai personaggi più mondani della città.
Intanto a Napoli sin dagli anni ottanta era iniziato tutto un fiorire di nuovi locali, alcuni essi durarono una breve stagione altri, invece, sopravvissero tra alti e bassi. Tra i tanti ancora in attività di quel periodo ci sono il Virgilio e La Scalinatella, altri invece non ci sono più come il caso della Cachaza in via Petrarca ed il Mailz di via San Pasquale.
Anche in via Manzoni si aprirono dei nuovi locali di tendenza come il Galapago e l’Accademia mentre in via dei Mille si aggiunse il Queen Victoria che poi divenne il Momah club mentre oggi è lo Snob.
Di questo lungo elenco di locali fatto in questo articolo oltre ai due precedenti non n’è rimasto quasi nessuno ad eccezione del Lido Club 21 e di Rosolino sebbene era nato come Trocadero. L’anno scorso ha chiuso anche lo Chez moi: l’unico che resta è la Mela, che a dispetto dei suoi 50 anni continua a vivere sempre nuove stagioni di successi. Ma non è più un night club come al tempo dei Campanino: è una discoteca. La storia dei night è definitivamente finita…
Tengo a precisare che come discoteca La scalinatella in. Ia san pasquale è a tutt’oggi funzionante con inclusa una terrazza esterna per ristorazione. Poi come night club lap dance sin dal 1998 a Napoli c’è stato il mitico Femina e da 4 anni chiamato Rose my club in via chiatamone a tutt’oggi ben frequentato specialmente da stranieri e clienti vip dei grandi alberghi. Scusate la precisazione……….
Pur apprezzando l’impeccabile rassegna forse si sono ingiustamente dimenticati (a meno di sviste) lo Stereo Club (P.co Margherita), il Pantera (Rampe Brancaccio), il Cantuccio (poi diventato Teorema in Via Manzoni).
Comunque complimenti per essere l’unico “libro di storia” di una Napoli che manca!
Fabrizio