di Adolfo Mollichelli
Cade una stella. Per la prima volta. Non è un tonfo ma una delusione cocente. Nessuna fuga per la vittoria. Una volta c’era il gol dello zoppo. Sono cambiati i tempi. Ora c’è il gol della mano morta e mica tanto. Quinto sigillo alla sua ex squadra. Gonzalo, Gonzalo detto core ‘ngrato. Più lo fischiano, più segna.
Le mani, le mani. La cantava Eduardo De Crescenzo. Una mano appuntita, la cantava Giorgio Gaber. La mano de Dios e quella steccata dell’argentino che balla il tango a Napoli e dirige i cori contro ed i fischi. Una storia infinita.
Tra cabala e fato. Non avrebbe dovuto esserci. C’è stato. Apparso al minuto numero “tredici” che a Napoli porta iella.
Sant’Antonio, non ti crucciare, ma ‘chistu gol ha fatto male assai. Pipita che se giocasse sempre a Napoli, contro il Napoli, sarebbe il più cazzuto centravanti del pianeta. S’è capito: vali quei soldi che la Juve ha versato per averti. E che Aurelio Primo ha avuto il piacere di ricevere. Il vil danaro non fa la felicità ma aiuta a costruire le grandi squadre. La grande bellezza può sfiorire. Anche sul verde di un prato, correndo dietro una palla che rotola.
Calcio metafora della vita, si dice così. E spesso è così. La grande bellezza che sfiorisce davanti ad una Signora che sarà pure Vecchia ma càpita che sia ancora ammaliatrice. Non è un caso che abbia cercato di mettersi in mostra nel salone delle feste la regina che non vive nella reggia di Capodimonte ma nel campus di Castelvolturno. Ed è stata all’altezza la regina azzurra che si chiama Reina. Le mani le mani.
La mano destra che salva sul Pipita di tutte le furie e poi sulla stoccata di Matuidi che sembra che zoppichi e invece azzoppa. Una serata regale e non poteva essere altrimenti. Nomen omen. E i valletti, che fine avevano fatto i valletti. Ce n’era uno in particolare che s’indaffarava da salone a salone e però il direttore di sala l’ha mandato via. Prega prega Allan che assomigli a Sammy Davis junior, tanto arriva il momento che si ritiene che abbia fatto il tuo tempo e allora via la livrea.
Sarrismo e maxismo. Balle. Il calcio è stupendo perché parti in prima classe e torni in carro bestiame. Perché c’è sempre l’avversario da considerare. Mi fanno ridere i discorsi come quelli che faceva l’omaccione che si mangiò Insigne, ci negò la Russia e ora si diverte a Zanzibar. Non abbiamo fatto questo, non abbiamo saputo incidere, non abbiamo saputo leggere i momenti cruciali. L’avevo previsto e scritto. Attenti please all’orgoglio dei non colorati – che poi è un errore marchiano, chiedetelo ai pittori – che giocheranno con il solito, immenso rispetto di ogni volta che incontrano i colorati che vogliono grigi. E così è stato.
Linee Sigfrido che resistette e Maginot che cadde subito, insieme. A chiudere tutti i varchi, a cancellare gli inizi dei triangoli, i raggi ed i diametri. La catena di sinistra che non va. Perché Mario Rui non sarà mai Ghoulam. E se perdi il Gonzalo manomorta sei fregato. E se non ti aiuta neppure il gigante d’ebano devi poi arrenderti.
Anche se sono gli altri che stanno sulle barricate. La Spagna che tradisce. Gli spagnoli che s’afflosciano. Albiol che pare envejecito (invecchiato) di colpo. E Callejòn che sempre per quella storia del nomen omen si perde nel corridoio della sua tristezza.
E il piccolo belga che sta tirando la carretta da un po’ s’aggira come un fantasmino e senza il fido cane al guinzaglio. E Lorenzo che ha qualcosa d’infiammato in una zona delicata e avrebbe bisogno di tanto sole, scegliendo magari un paradiso che non sia Zanzibar perché lì c’è già l’omaccione senza vergogna.
Detto questo, non mi trova d’accordo l’analisi sarrista. Perché è stata la Vecchia Signora a chiudersi, scientemente, nel castello dell’ultima speranza.