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Fuga di cervelli e Pil
Conti tremendamente in rosso

di Eduardo Palumbo

 Poco più di un anno fa, nell’ultima assemblea plenaria il Consiglio Generale degli italiani all’estero (Cgie) approvò all’unanimità un ordine del giorno che sollecitava le istituzioni, il Parlamento, le organizzazioni politiche e sociali, a porre seria attenzione al fenomeno dei nuovi flussi in uscita dall’Italia.

Ma più corretto sarebbe dire che, secondo il massimo organo di rappresentanza diretta delle nostre collettività emigrate,  era un vero e proprio grido d’allarme, perché la nuova emigrazione veniva considerata vera e propria emergenza nazionale visto le centinaia di migliaia di italiani, perlopiù giovani, perlopiù laureati o comunque con elevato livello di qualificazione, che annualmente lasciano l’Italia alla ricerca di lavoro all’estero.

Nello scorso mese di gennaio, l’Istat ha reso noti i dati sui trasferimenti di residenza (dall’estero e per l’estero) secondo la nazionalità, relativi al 2012, desunti dalle anagrafi comunali. Il saldo per i cittadini stranieri ha continuato ad essere largamente positivo (+ 283.000 ), ma in calo rispetto all’anno precedente (+322.000 ) per una diminuzione delle iscrizioni e un aumento delle cancellazioni.

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E ancora più evidente è stato il segno della crisi per i cittadini italiani, con un saldo negativo più che raddoppiato (da -19.000 nel 2011 a –39.000 nel 2012). Nel contempo, è aumentato anche il numero delle nuove iscrizioni dei cittadini italiani all’Aire (Registro anagrafico degli Italiani all’estero). Purtroppo i dati vengono comunicati con cadenza annuale, mentre sarebbe assai utile avere qualche anticipo mensile o trimestrale per cogliere l’evoluzione della congiuntura migratoria. Tuttavia molti diversi altri indicatori parziali  suggeriscono che la migrazione degli italiani verso l’estero ha accelerato il ritmo nel 2013 e nella prima parte del 2014.

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È un fenomeno che riguarda in forte prevalenza l’Europa: circa la metà degli emigrati si dirige verso le destinazioni tradizionali, nell’ordine Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia. Non c’è da sorprendersi: le ultime statistiche ci dicono che la disoccupazione italiana (al 13%), è più che doppia di quella tedesca e quasi doppia di quella britannica, e le difficoltà economiche sembrano avere la meglio sulla vischiosità del mercato “unico” del lavoro europeo, caratterizzato dalla bassa mobilità tra stati diversi.

Sempre l’Istat ci dice che nel decennio 2000-2010, sono andati all’estero 316.000 giovani di età inferiore ai 40 anni. Ma solo nel 2009 oltre 80.000 persone sono espatriate secondo i dati dei Comuni: + 20% rispetto al 2008. Di questi si stima che la gran parte siano giovani, di cui il 70 per cento laureati. Secondo il Sole 24 Ore nel 2011 sono stati almeno 60 mila i giovani che sono andati all’ultimo anno. Ed in maggior parte erano laureati del Mezzogiorno, dove le offerte lavorative ormai sono pressoché inesistenti.

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E c’è da tener conto che tutte queste cifre ufficiali non fotografano di certo la reale portata del fenomeno, in particolare dall’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’Estero) alla quale si fa di consueto riferimento poiché le persone che si trasferiscono all’estero tardano a volte diversi anni prima di iscriversi come stabilmente residenti fuori dai nostri confini e cancellarsi dalle rispettive anagrafi comunali.  In considerazione di ciò  bisogna considerare che l’effettivo ammontare dei flussi in uscita sia almeno tra le due e le tre volte il dato Aire. L’aggravarsi della crisi con la crescita esponenziale della disoccupazione, in particolare di quella giovanile negli ultimi anni ha ampliato ampliare ulteriormente l’emigrazione. Secondo l’indagine Australia solo andata”(http://www.australiasoloandata.com/), i dati che emergono dallo studio superano, ad esempio,  quelli dello storico fenomeno dell’inizio degli anni ‘50, “con più di 27.000 nuove presenze suddivise in residenti temporanei (visti vacanza-lavoro, studente e lavoro specializzato “457”), residenti permanenti e nuove cittadinanze. L’arrivo di italiani in Australia ha raggiunto, nel 2012-13 quindi, il livello migratorio del 1950-51 con una presenza che si sta trasformando da temporanea a permanente. Di questi, al 30 settembre 2013, 18.610 cittadini italiani erano fisicamente presenti in Australia con un visto di residenza temporaneo, un incremento del 116 per cento negli ultimi ventiquattro mesi e del 36% rispetto al 30 settembre 2012.”

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Secondo le statistiche dell’Ufficio belga dell’Immigrazione, “la migrazione italiana verso il Belgio è aumentata del 20 per cento circa ogni anno, a partire dal 2010. Mentre dai primi anni 2000 fino al 2010, si sono registrati come residenti in Belgio circa 2.500 italiani ogni anno, solo nel 2012 sono arrivati oltre 4.000 italiani. Ed è giusto sottolineare che questo dato considera solamente quegli italiani che hanno deciso di dichiararsi come residenti in Belgio.” E per quanto riguarda l’Olanda, “in base a dati forniti dal Centraal Bureau voor de Statistiek, il numero di Italiani ed Italiane che si trasferiscono verso i Paesi Bassi è in crescita dal 2004 e nel 2012 ha raggiunto livelli mai visti in quasi 20 anni. Nel lontano 1995 il numero di connazionali che partivano alla volta dell’Olanda era pari a 1.780 mentre il dato più recente, relativo al 2012, rivela che in 6.542 hanno varcato la soglia del confine olandese. Molto interessante è anche l’entità dell’immigrazione italiana nel contesto dell’immigrazione totale nei Paesi Bassi. Nel 1995, gli Italiani costituivano l’1,9 per cento del totale dell’immigrazione ma questa percentuale ha continuato a crescere fino a raggiungere il 4,2 per cento nel 2012”.

L'emigrazione di un tempo

La grande emigrazione

Da un sondaggio internazionale condotto da Zurich Insurance Group in dodici Paesi nel mondo sul fenomeno dell’emigrazione, “risulta che più di un terzo degli intervistati   sta prendendo in considerazione di ricominciare una nuova vita trasferendosi all’estero o ha già deciso di emigrare.  Specificatamente in Italia il 30 per cento degli intervistati – la maggior parte dei quali giovani fra i 14 e 34 anni – sarebbe disposto a trasferirsi in un altro Paese per sfuggire alla disoccupazione e circa il 24 per cento al fine di ricercare, comunque. migliori condizioni occupazionali. In Italia poi il 46 per cento degli intervistati considera la sicurezza sul lavoro una variabile chiave per decidere di emigrare”.

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Ma ha un costo per il Paese questa emigrazione, soprattutto di cervelli? Per comprendere qual è la perdita secca ed attuale di valore economico (oltre che, naturalmente, umano e civile) causato da questo nuovo esodo, basta fare un piccolo calcolo, riprendendo l’approccio che Paolo Cinanni, usò per illustrare l’entità economica dell’emigrazione italiana del dopoguerra. Ed allora: ipotizzando che per la crescita e l’educazione di un giovane da zero a 25 anni occorrono mediamente dai 150.000 ai 200.000 euro a carico delle famiglie, a cui dobbiamo sommare una quota pro-capite di spesa pubblica per educazione, sanità, servizi vari, ecc. (diciamo altri 200.000 euro mediamente per chi frequenta un iter formativo completo fino alla Laurea), ogni persona con tali caratteristiche che se ne va dall’Italia costituisce una perdita secca di 350.000-400.000 euro di investimento realizzato, pubblico e privato.

Ma non è tutto. C’è anche da fare un altro calcolo, non di minore importanza. Nell’ipotesi di un trasferimento stabile all’estero, queste persone resteranno produttive per un’intera vita, diciamo per i fatidici 40 anni, anche se con l’allungamento dell’età pensionabile saranno di più. Se attribuiamo ad ogni persona, una valore lordo di produzione di circa 50.000 Euro all’anno (ipotizzando stipendi medi molto contenuti, pari a circa 3.500/4.000 euro lordi al mese che un laureato può facilmente percepire all’estero), ogni persona che se ne va, si porta con sé un pil pro-capite potenziale di 2 milioni di euro nell’arco dell’intera vita lavorativa.

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