A volte basterebbe pensarci un attimo, riflettere, ragionare. Essere sempre presenti a se stessi. Non farsi trasportare dal personaggio, che già di per se è quello è. A volte basterebbe essere ben consigliati. Di certo che ci sono cose che non si dovrebbero dire mai. Poi chi se ne frega ed ognuno fa come vuole. E così ha fatto Diego Maradona nell’ambito della sua personale “guerra” con Equitalia. Giusto tre anni, Maradona non si limitò a sostenere che era al centro del solito complotto ma era arrivato a dichiarare di aver cullato l’idea di un gesto estremo, come avevano fatto già altre persone. In Italia sono più di cento le persone che si sono tolte la vita negli ultimi anni, perché strozzate dai debiti e dalle cartelle di Equitalia. Se il silenzio è d’oro per alcuni dovrebbe essere d’obbligo.
Perché riproporre vecchi articoli, reportage, interviste? Volando alto con Giorgio Manganelli, scrittore, giornalista potremmo dire che “una civiltà letteraria non è fatta di letture, è fatta di riletture”. Più semplicemente il ripresentare alcuni articoli rappresenta una grande opportunità. Un modo per scoprire giornalisti o protagonisti di un’altra generazione, di conoscere o ricordare fatti, dimenticati. Per riproporre interviste e reportage dei giorni nostri.
Una puntata della partita infinita tra Diego Armando Maradona e il fisco italiano si è giocata nel campo di un’aula di Tribunale. E a decidere il match è stato un uomo vestito di nero, che un tempo per il campione argentino era impersonato dagli arbitri, mentre oggi indossava i panni del magistrato. A dirigere l’incontro infatti è stato il giudice che ha rinviato a giudizio l’ex Pibe de oro per aver diffamato l’Agenzia delle entrate sostenendo “di essere vittima di una strumentale persecuzione orchestrata da Equitalia attraverso documentazione falsa e procedure irregolari”.
Era il maggio del 2012 e l’ex numero dieci non si era limitato a sostenere di essere al centro di un complotto. Maradona, infatti, era arrivato a dichiarare di aver cullato l’idea di un gesto estremo, come avevano fatto già altre persone. Parole incendiare, pronunciate in un momento delicato quando una serie di suicidi stavano funestando il Paese a causa della crisi economica. Una guerra sfiancante quella del campionissimo argentino con il fisco italiano culminata nel plateale “gesto dell’ombrello” in cui si era esibito Dieguito in diretta tv.
Questa diatriba è l’ennesima puntata di un contenzioso giudiziario senza fine cominciato negli anni Ottanta tra il fisco e l’ex giocatore. L’ultima pagina di questa storia è ancora lontana dall’essere scritta perché entrambe le parti non hanno intenzione di sotterrare l’ascia di guerra. Maradona non sembra voler riconoscere il debito di 39 milioni di euro che il fisco sostiene di dover riscuotere dall’idolo dei napoletani. E allo stesso tempo l’erario non ha dato la sensazione di accettare sconti sostanziosi sulla montagna di denaro da riscuotere. Una somma colossale in prevalenza formata dagli interessi maturati da Equitalia sui 6 milioni di euro di tasse che Maradona non avrebbe saldato quando ancora giocava. La vicenda inizia nel 1989, quando la Guardia di finanza svolge delle verifiche fiscali nei confronti della società SSC Napoli e di alcuni giocatori, tra cui Careca, Alemao e Maradona.
Secondo gli accertamenti i tre campioni, oltre agli stipendi pagati dal Napoli, ricevono dei soldi da due società straniere per i diritti d’immagine, una pratica giudicata come evasione fiscale. Careca e Alemao fanno ricorso e limitano i danni. Comincia in quel periodo invece il dramma umano del campione argentino in lotta con i fantasmi della cocaina. Va via dell’Italia, gioca in Spagna, infine ritorna nella sua Argentina.
Quel vecchio contenzioso sembra una storia dimenticata, finché una sentenza della Corte di Cassazione del 17 febbraio 2005 condanna il pibe de oro a pagare 31 milioni di euro, ulteriormente lievitati nel corso del tempo. Nel 2005 Maradona ha subito il sequestro di 3 milioni di euro per la partecipazione a un programma televisivo italiano, mentre l’anno successivo gli sono stati confiscati due orologi dal valore di 10mila euro.
(Giulio De Santis, Corriere della Sera)