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Delu & Dema
Quando Made in Sud è nel Palazzo

 Stanlio e Ollio, Ciccio e Franco, Totò e Peppino, Vianello e Tognazzi, Cochi e Renato, Ric e Gian, Ficarra e Picone, Ale e Franz, Gianni e Pinotto, Bibì e Bibò. Ma li volete mettere con Delu e Dema? De Luca e De Magistris, è un cabaret continuo, altro che Made in Sud. Gaffe, macchiette e figuracce dal Palazzo.

 Perché riproporre vecchi articoli, reportage, interviste? Volando alto con Giorgio Manganelli, scrittore, giornalista potremmo dire che “una civiltà letteraria non è fatta di letture, è fatta di riletture”. Più semplicemente il ripresentare alcuni articoli rappresenta una grande opportunità. Un modo per scoprire giornalisti o protagonisti di un’altra generazione, di conoscere o ricordare fatti, dimenticati. Per riproporre interviste e reportage dei giorni nostri.

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De Luca e De Magistris, i Severinos

La più recente riguarda Massimo Giletti, il conduttore della trasmissione di Rai Uno L’Arena: il sindaco di Napoli Luigi de Magistris lo ha querelato per 10 milioni di euro per le frasi secondo lui «diffamatorie» che avrebbe pronunciato sulla città partenopea e sui livelli di vivibilità. Dieci milioni. «Serviranno a ripulire Napoli», ha spiegato de Magistris senza rendersi conto che così dicendo ha finito per ammettere che il problema igiene in città forse ancora esiste.

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De Luca, lo sceriffo

Perplessità ha suscitato anche la frase, per molti di sapore ‘lombrosiano’, pronunciata dal governatore della Campania Enzo De Luca, che a proposito di Genny ‘a Carogna (il tifoso ultras accusato di spaccio di droga) ha detto: «Con quella faccia, andrebbe arrestato solo se lo si guarda».

Ma a proposito di gaffe e figuracce ‘istituzionali’ c’è moltissimo da raccontare. Il 16 ottobre, utilizzando un nome d’arte e spacciandosi per militante grillina, una cugina di de Magistris ha sollecitato in un’intervista gli elettori Cinque stelle a votare per lui alle prossime elezioni comunali.

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Ma il nome d’arte non è bastato a coprire la taciuta parentela: sul web la cuginetta di Giggino (travestita da militante pentastellata) è stata subito riconosciuta e sbugiardata.
Altra scena, altra gaffe. Al 28 ottobre risale l’apprezzamento che De Luca ha riservato alla presidente della commissione antimafia: «A Rosaria Bindi contesto la sua stessa esistenza», ha (l)ombrosamente sibilato con occhi di brace.
Si tratta di due esempi, neanche fra i più trash, del duello a suon di gaffe che il sindaco di Napoli Luigi de Magistris e il presidente della Campania Vincenzo De Luca regalano ogni giorno all’opinione pubblica.
Guasconate, volgarità, cadute di stile: c’è chi sostiene che De Luca abbia oscurato in teatralità l’imitazione che di lui fa il comico Massimo Crozza. E ricorda che Antonio Ricci, ideatore del satirico tivù Striscia la Notizia, ha voluto dedicargli una rubrica settimanale.
Ma c’è anche chi pronostica per de Magistris una folgorante carriera da attore, tanto è vero che – raccontano – nell’ottobre 2014 è stato necessario l’intervento dell’ex direttore generale Rai Luigi Gubitosi per far sì che il sindaco rinunciasse a recitare in una puntata della soap di Rai Tre Un Posto al Sole.

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Secondo i critici, de Magistris e De Luca – un po’ consapevoli e un po’ no – stanno alimentando una vera e propria “saga del perfetto gaffeur”, puntando tutto sull’audience immediata a discapito della credibilità politica.
Osserva chi li conosce: «Entrambi sanno che straparlare, specie on line, oggi paga. E anche molto. Tanto è vero che Vicienzo e Giggino sono diventate vere e proprie star del web, gettonate da migliaia di like e appassionati follower».
«Ciao Al, sono il sindaco…»: leggendario è rimasto su Facebook il video con cui de Magistris invitava il 2 febbraio 2012 il celebre attore Al Pacino a visitare Napoli. Scenografia, sguardo intenso, sottotitoli in inglese. Ma “Al” a Napoli non si è visto.

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E che dire delle auto Peugeot ordinate per i vigili urbani di Napoli proprio mentre a Pomigliano infuriava la battaglia degli operai Fiat contro Marchionne?
Osserva un funzionario Pd: «Per capacità di creare imbarazzo de Magistris ricorda la parlamentare Pina Picierno. Ma le gaffe del sindaco appaiono più fantasiose, colte, sorprendenti».
Peccato che dopo la sbandierata visita a palazzo san Giacomo del “sindaco di Shanghai” si sia scoperto che il “gradito ospite” non era il primo cittadino ma tale Chun Lei, un oscuro impiegato di un distretto minore.
A proposito di “scartiloffi”, ma “colti e intelligenti”, c’è chi non dimentica le congratulazioni spedite da de Magistris via Twitter ai napoletani Paolo Sorrentino e Toni Servillo per il trionfo riportato col film La Grande Bellezza. II sindaco elogiò il racconto splendido «della nostra città».
La “nostra” città? Cioè, Napoli? Ma il film non descrive la vita strascicata di Jep Gambardella nei salotti romani? «Piaccio alle donne, potrei fare il premier». «L’immondizia? Ripuliremo Napoli in cinque giorni». «Bruxelles? È molto più pericolosa di Napoli».
Imbarazzante? Forse. Ma non quanto l’erroraccio del grappolo di attori ormai defunti e inseriti “allegramente” nel cartellone della rassegna comica Ridere in occasione di Estate a Napoli 2015. «Colpa dei collaboratori», sussurrano. Ma non gli stessi che misero nei guai il sindaco quando – invasati – a gennaio 2012 definirono simili «alla manovalanza della camorra» i cronisti che osavano criticare l’auto in divieto di sosta di “Giggino”.

Se Napoli ridacchia (amaro), la Campania appare attonita. Di de Magistris, il governatore  De Luca ha detto: «Dalla magistratura lo hanno cacciato per manifesta ciucciaggine. Io Pinocchio? Pinocchio sarà la sua rispettabile sorella».
E su Stefano Caldoro, che nel 2010 lo sconfisse alle elezioni regionali: «È una gazzosa senza tappo». Ancor più truce si rivela su Luigi Cesaro, l’ex presidente della Provincia di Napoli: «A definirlo un essere umano si fa oltraggio alla biologia».
Della capogruppo grillina alla Camera Roberta Lombardi ha detto: «Ma vada a morì ammazzata». Dalemiano, fassininano, veltroniano, bersaniano, renziano.
C’è chi lo chiama sceriffo, chi Pol Pot, chi Vicienzo ‘a funtana (per la sua smania di abbellire le piazze ndr).
Da incubo le pubbliche condoglianze elargite ai familiari dell’architetto Nicola Pagliara, che è vivo e vegeto. O il suo «grazie» all’Isveimer (l’istituto di sviluppo economico liquidato nel 1996) per il rapporto 2015 sul Mezzogiorno (elaborato invece dalla Svimez).

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Micidiale resta la citazione di una frase di Italo CalvinoUna città che non volle cambiare decadde e venne dimenticata») che De Luca utilizzò per legittimare alcune opere urbanistiche. Da New York Giovanna, la figlia di Calvino, intervenne definendo «impropria» la citazione. E propose una irriverente contro-citazione del suo papà: «La febbre del cemento s’era impadronita della Riviera».
De Luca e le frasi “celebri”. Ogni giorno ne combina una. «A Napoli c’è il Vesuvio. E i più grandi venditori di fumo al mondo». «A Napoli ci sono persone geneticamente ladre». Oppure: «Meno ascolto i sindacati e meglio è». O ancora: «Un amministratore, se non ha almeno un avviso di garanzia, è una chiavica».

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Più De Luca che Crozza

Su Casaleggio: «Vada da un barbiere serio». Su Miguel Gotor, parlamentare di minoranza Pd: «Pensavo che fosse un ballerino di flamenco».
Marco Travaglio, invece, «è un grandissimo sfessato, che spero di incontrare di notte, al buio». E Peter Gomez? «Un consumatore abusivo di ossigeno».
Sugli ambulanti («Tirate fuori i documenti!», urla strattonandoli in strada) e, ancor di più, sui rom: «Io smonto i loro campi e me ne frego di dove quella gente va a finire. Li prendo a calci nei denti e il cielo stellato ce lo godiamo noi».
E ancora, su Alex Zanotelli (il padre comboniano in prima linea sui drammi sociali): «Meriterebbe una denuncia all’autorità giudiziaria. Ma vada a insegnare il catechismo». E su D’Alema: «Il vino che produce? Immagino che sia una zozzeria». E poi, drastico: «Io sono perché la magistratura non mi rompa le scatole quando decido di fare una variante urbanistica».
Vladimir Luxuria ha detto: «È uno che mi fa paura. Mettetevi i vetri blindati: quello è sceriffo. E spara».
Rozzo, truce, ma padrone di una «degenerazione linguistica capace di infiammare le platee». Ha detto Antonello Caporale, giornalista e scrittore, che «gli italiani si accorgeranno presto quanto sia padano e leghista questo sessantenne meridionale».
Che non è privo di fragilità psicologica: raccontano che alle conferenze stampa pretende «che tutti stiano seduti davanti a lui e nessuno di fianco o alle spalle».
Ha scritto Enzo d’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno, citando Einrich Boll secondo cui «nell’esercizio del più umile dei mestieri lo stile è decisivo»: «Battute grevi, insolenze da trivio, accuse lanciate come sputi… ma un’istituzione è la casa dei cittadini, il leader che l’amministra non può insozzarla gettando le cicche sul pavimento o sventrando i divani». Perché – conclude – «se si perde il senso delle istituzioni, anche le istituzioni perdono senso».

 (Enzo Ciaccio, Lettera 43.it)

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