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Il piccolo grande uomo

 di Franco Esposito

Peppeniello timoniere. Un metro e cinquantacinque, cinquantatre chili. Peppeniello a servirli, i fratelli Abbagnale, Carmine e Giuseppe. Giganti pompeiani, imponenti, forti. I bronzi di Pompei. Insieme, in tre, Giuseppe Di Capua e i due compari, a formare l’equipaggio più forte di tutti i tempi. Il 2 con sul podio più alto delle olimpiadi a Los Angeles e Seul. Firme indelebili a Lake Casitas, California, e al Regatta Course nel paese del dolce mattino, la Corea del Sud. Otto titoli mondiali, medaglie assortite in numero considerevole, quaranta volte campioni d’Italia. Serve altro?

Giuseppe Di Capua, Peppeniello, è di una specie molto particolare, come gregario. Appartiene, lui piccolo tra due giganti, alla categoria dei comandanti. I fratelloni d’Italia dipendevano dai suoi ordini. Il ritmo era lui, il timoniere.

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Peppeniello gigante

Uno scricciolo d’uomo, però magico condottiero. The voice, la voce: mai avuto bisogno del megafono legato alla bocca con un elastico. Organo di trasmissione della barca, sapeva come farsi ascoltare. Comandi secchi. “Guagliù, saliamo di colpi. Alè, Giuseppe; alè, Carmine. Diamogliele agli inglesi, facciamoli neri i tedeschi, andiamo a vincere”. E la barca andava, irresistibile, la prua davanti al mondo.  I Fratelloni ai remi, lui al timone. Cavalieri all’ordine e al merito della Repubblica Italiana tutti e tre. Carmine, Giuseppe Abbagnale, Di Capua. “Nelle interviste si affacciavano ogni tanto nuovi giornalisti. Arrivavano a frotte quando vincevamo le gare importanti, in particolare all’inizio. Poco informati, chiedevano: ma siete di Capua voi tre?”.

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Il leggendario “2 con” dei fratelli Abbagnale e Di Capua

Un curioso equivoco. Il cognome di Peppiniello, Di Capua, scambiato per la città di origine dei fratelloni. Carmine e Giuseppe Abbagnale di Capua, non di Messigno, non di Castellamare di Stabia, la città delle terme e del canottaggio.

Il posto di Giuseppe Di Capua e sede del Circolo Nautico Stabia, il sodalizio fondato dal principe Marsiconovo. Cinquecentocinquanta soci e un presidente professore d’inglese, Pasquale Gaeta.

Di Capua piccola grande ombra dei fratelloni di Messigno, il santuario della Madonna di Pompei a due chilometri, la campagna intorno alla casa patriarcale color ocra, la terra da lavorare. Patate, verdure, fiori. Gladioli e soprattutto garofani pronti per le spedizioni in tutta Europa. La ditta di papà Vincenzo Abbagnale, che avrebbe preferito i figli contadini, non canottieri. “Avete braccia forti, buone per la terra. Lo sport è una pazziella, un gioco che non porta moneta. Lo studio e i fiori sì, contano”.

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La famiglia Abbagnale

Sei figli gli Abbagnale. Due gemelle, Nunzia e Rosanna. Una sorella, Maria. E i tre canottieri, Giuseppe, Carmine, Agostino. Un giorno del 1988, a Seul, si ritrovavano sul podio più alto, campioni olimpionici, una famiglia tutta d’oro. Il 2 con di Giuseppe e Carmine e il quattro di Agostino. Mai successo prima nella storia del canottaggio mondiale.

Giuseppe Di Capua il timoniere più grande che questo sport abbia espresso. Breve e atletico, il fisico e la figura di un personaggio della commedia dell’arte; al cinema lo avrebbero impiegato come caratterista. Furbo e insieme scaltro, attento, intelligente, pronto, immediato nell’esercizio del ruolo. Ragazzino, giocava al calcio in una squadretta di amici. Un’aletta svelta, rapida, dribblomane. Individualista eccessivo, presto si rendeva conto che il pallone gli avrebbe dato magre soddisfazioni. Il fisico, poi: un metro e cinquantacinque. Ma a quell’ora non poteva immaginare che avrebbe incontrato il successo nel canottaggio.

0611_di_capuaIl mondo è anche questo, spesso governato e dominato da uomini bassi. Napoleone Bonaparte, un metro e cinquantacinque; Ben Gurion, centocinquantadue centimetri appena; Mahatma Gandhi un metro e quarantasei, uguale e preciso Yasser Arafat. E Giacomo Leopardi, Wolfgang Mozart con i suoi centocinquantadue centimetri di genio, e Benito Juarez, a lungo Presidente del Messico. Un metro e trentasette, pensa te. Piccoli grandi uomini, come Peppeniello nel suo brodo, al timone della barca delle meraviglie. Il mondo è cosa nostra, dei bassi di statura. “Non potevo che diventare timoniere”.

Il canotaggio, ma come e quando? Nel ’52, e oggi sembra un secolo fa. Le presentazioni all’alba, alle cinque e mezza del mattino. La brina e l’umidità come residuo della notte, il cielo e l’aria pregni di foschia. Un orario strano, singolare, per il primo incontro organizzato da un caro amico, Catello. Come dire, incontrarsi e non perdersi più, Peppeniello e il canottaggio. Una cotta a prima vista. Catello e un gruppo di amici seguiranno Peppeniello in ogni pizzo d’Europa. Preferibilmente in macchina, simpatici matti incorruttibili tifosi. Lucerna, Duisburg, Monaco di Baviera, Hazewinkel, il giorno della vittoria più squillante e rumorosa. Una fantastica emozione lasciarsi alle spalle i giganti di Germania a casa loro.

Canottaggio:Mondiali; un Abbagnale oro in Corea dopo 25 anniGiuseppe Abbagnale capovoga, Carmine prodiere, Giuseppe Di Capua timoniere. “Immensi, grandissimi, i due fratelli. Ma io ho vinto un titolo mondiale più di loro. È accaduto nell’82, al Rotsee, il lago di Lucerna, io al timone dell’otto pesi leggeri, per volere della federazione italiana canottaggio”.

Peppeniello peso leggero, nessun problema, mai patiti sacrifici per stare dentro il limite di peso dei cinquantaquattro/cinquantacinque chili. Venti anni insieme, tre uomini in barca e a zonzo nel mondo ad ammucchiare successi. Punto di partenza due luoghi in provincia di Napoli: Messigno e Castellamare di Stabia. Venti anni e mai un litigio. “Sì, mai”, conferma Giuseppe Di Capua, classe 1958, nato a Salerno, figlio di Vincenzo. “Il nome più bello del mondo”.

Impiegato alla Sip, la società dei telefoni che sarebbe poi diventata Telecom. Centralinista, chiedeva e otteneva il turno di notte. In barca con Giuseppe e Carmine all’alba, lui reduce dalla nottata al centralino, quaranta chilometri di auto tra andata e ritorno, da Castellamare a Napoli. Il palazzo della Sip, costruzione in stile fascista, a via De Pretis, due passi dal porto di Napoli, e l’hangar delle barche del circolo nautico, a via Giuseppe Bonito, a Castellammare.

P6190055Timoniere in pensione, è tuttora dipendente Telecom. Turni normali nell’ufficio al primo piano del grattacielo al Centro Direzionale di Napoli. La moglie Sandra, insegnante, gli ha reso la vita lieve, mai una vota che gli abbia fatto pesare qualcosa. Tre figli studenti: Vincenzo a economia e commercio, Lucia al liceo, maturanda, e Francesco. Papà Giuseppe, oggi rotondetto, non ha mai chiesto a nessuno dei figli di provare con il canottaggio. Vincenzo pratica la ginnastica, Luisa recitava, Francesco prende lezioni di pianoforte. Uomo semplice di chiare origini popolari, lo storico timoniere comandava l’equipaggio con incisivo vigore e grande energia. Un martello. Non ossessivo al contrario come padre, proprio no. I figli lo chiamano Peppeniello, in segno di affetto e di ammirazione.

L’equipaggio dei sogni e lui al timone nella nebbia del primo mattino nello specchio di mare a Pozzano. Il rumore delle palate nell’acqua ancora fredda, il golfo di Castellammare, hop-alè, tutti i giorni. Tre ore piene all’alba, altrettante nel pomeriggio alle 17, prima di prendere servizio al centralino della Sip. Peppeniello riposava dalle nove alle quattordici. Dormiva di giorno. Una vita a rovescio, la sua.

Peppiniello Di Capua e Giuseppe La Mura

Peppiniello Di Capua e Giuseppe La Mura

Vita dura, durissima. Vitaccia comunque bella tosta, sotto Giuseppe La Mura, il dottore zio degli Abbagnale. L’architetto dell’equipaggio più bello. I nipoti Carmine e Giuseppe altrimenti conosciuti come i tedeschi di Messigno, e Peppeniello di Castellamare di Stabia, grande tifoso calcistico della Juve Stabia.

Giuseppe Abbagnale, ragioniere, poi laureato Isef con una tesi su “L’avviamento al canottaggio dei bambini tra gli otto e gli undici anni”, tanto per non uscire dal tema della vita che si era scelto. Il posto in banca a capo di anni di appelli anche pubblici, oggi presidente della federazione italiana canottaggio, e papà di Vincenzo, fresco campione del mondo pure lui. La leggenda continua.

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Stephen Redgrave e Andy Holmes

Carmine geometra, remando e vincendo anche sull’estimo. La materia che gli stava indigesta e gli dava più problemi di una regata contro i tedeschi o i mitici inglesi Stephen Redgrave e Andy Holmes, per citare i migliori in assoluto, gli avversari più altolocati. Cinque medaglie d’oro consecutive alle Olimpiadi Sir Redgrave, precisamente leggendario; una montagna di trionfi il compagno di coppia, ai Giochi Olimpici e ai mondiali.

Mamma Virginia La Mura chiara complice del fratello Giuseppe, medico condotto a Pompei, un esercito di mutuati da assistere, e la fissa del canottaggio. Campione d’Italia nel ’52, in coppia con Abbatangelo, un giovane di destra che siederà poi in Parlamento, studiava i sistemi d’allenamento dei canottieri della Germania Est. Studi profondi.

Fenomeni fisici i crucchi in grado di allenarsi ore e ore. Sedute spossanti, impossibili da digerire per i canottieri italiani. I tedeschi dell’Est autentici professionisti, la vita in barca, tutti i giorni; dilettanti gli Abbagnale, costretti a rubare ritagli di tempo allo studio e al lavoro nei campi di fiori. Fisici italiani, non in grado di spendersi in allenamenti mostruosi. Proprietari, evidentemente, di motori eccezionali. Come fare? La Mura adottava per gli Abbagnale la sua personale filosofia. E l’applicava in ogni momento della costruzione di un miracolo sportivo pregno di intelligenza, genialità, applicazione. I tedeschi vogano dall’alba al tramonto? Fatti loro. Noi mettiamoci l’intensità, nipoti miei. L’intensità negli allenamenti come risposta alla martellante continuità teutonica. Ossessiva, insopportabile.

imageIl teorema di Giuseppe La Mura, allenatore di due giganti competitivi.  “Vince chi lavora molto, lavora di più, lavora meglio. Nello sport non c’è posto per i lavativi”. Giuseppe capovoga, irruente, determinato in ogni gesto e in ogni parola, un’esplosione di energia e forza. Il portavoce dell’equipaggio con la fissazione della vittoria e l’ambizione di vogare davanti al mondo, compagno indivisibile di una massima. “Partecipare è importante, ancora di più vincere. Se nello sport non ti prefiggi di vincere, non esisti”.

Carmine prodiere silente. Carattere chiuso, osservatore, riflessivo, deciso. Due braccia forti, risoluto nella esecuzione dei comandi.  Il motore della barca. Sudore, fatica, venti anni di silenzi. Peppeniello al timone della barca delle meraviglie, lui a prua a tenere la rotta e a dettare ordini ai Fratelloni.

Vincenzo e Luisa Cascone, i genitori, titolari di un biscottificio a Castellamare di Stabia, in zona Porto. Papà Di Capua impastava a mano, fedele ai principi antichi, là  dove ora vengono impiegati macchinari moderni, di ultima generazione. Il biscottificio Cascone, premiata ditta con oltre un secolo di vita. Pane, dolci, e i famosi biscotti di Castellamare dal sapore unico. Una delizia per il palato. Simili ai sigari avana, per il colore chiaro, la forma e la lunghezza. Il grembiule da lavoro e le mani infarinate, Peppeniello non disdegnava di dare un mano ai genitori. Il biscottificio di famiglia anche come luogo di distensione. Un dolce rifugio.

DSC_9210-350x233Timoniere di limpido abbagliante talento inviolabile custode di un equipaggio che ha scritto la storia, saliva in barca a quattordici anni. Condannato dal ruolo alla luce riflessa, non se la prendeva minimamente, orgoglioso del suo nobile operato e dei qualificanti contributi al successo della barca da sogno.

Peppeniello e lo strano trio. Stima, rispetto, limpidi rapporti professionali con i fratelloni. Al di fuori degli allenamenti e delle gare, lui e gli Abbagnale non si frequentavano. Nella vita regatavano ognuno per conto proprio. Giuseppe e Carmine come fratelli, per lui. “Ma una pizza vai a mangiarla con gli amici, non con tuo  fratello”.

Talenti naturali, gli Abbagnale. Peppeniello li bacchettava con la voce, raramente con il gesto. Musica per le orecchie dei fratelli i suoi comandi figli della conoscenza tecnica e degli avversari. Il timoniere sembrava possedere occhi anche dietro la nuca. E recitava una sorta di personalissimo mantra, quando i giornalisti gli chiedevano un parere, un’opinione, un pronostico sulla regata imminente. “L’eliminatoria è una cosa, la semifinale un’altra, la finale una vicenda a parte”. La litania puntualmente servita con vis da attore. Diceva niente, in quelle parole non c’era polpa. Serviva semplicemente a neutralizzare l’ottimismo smodato dei superficiali, senza dover ricorrere alla scaramanzia e agli esorcismi. I canottieri remano anche nella superstizione. Altrimenti che sportivi sarebbero.

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Giampieo Galeazzi ed i fratelli Abbagnale

Le smorfie di Peppeniello facevano grandi giri. Catturate da telecamere e microfoni, riempivano le televisioni di tutto il mondo. Giampiero Galeazzi, forte canottiere in gioventù, declamava e cantava le gesta del terzetto a lungo invincibile con sincero meraviglioso trasporto e accesa passione. “Fratelloni” l’ha inventato lui. “Andiamo, ci siamo, sììì”.

Gegè Maisto giornalista napoletano, puntuale segugio, seguiva gli Abbagnale e Di Capua in tutto il mondo. Mai che abbia mancato una vittoria, fosse anche quella al campionato del mondo in Nuova Zelanda. All’altro capo del pianeta. “Australia, Kenya, California, Canada, Corea, l’Europa in ogni anfratto: il mondo l’ho girato quasi tutto. Il posto più bello? I nostri. La Penisola Sorrentina e la Costiera Amalfitana”.

Castellamare primo amore, Amalfi il secondo. Un amore fine e passionale. L’abbraccio intenso al timone della barca nella Regata delle Repubbliche Marinare, appuntamento annuale nel segno di antiche rivalità. Regata storica nata nel 1955, conquistata due volte da Peppiniello con la barca di Amalfi. La doppia entusiasmante prodezza in un delirio di popolo, al timone di equipaggi formati in parti uguali da canottieri nati nella regione e nella provincia.

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La regata storica

Rari sorrisi, composto nella vittoria e nella sconfitta, il magnifico terzetto si teneva lontano dall’arroganza che talvolta è compagna dei primi della classe. Sublimi silenzi a scandirne i trionfi.

“Persone eccezionali, incredibili i due fratelli. Ragazzi amabili, introversi, sensibili. Uomini prima, poi sportivi.  Serietà e impegno i loro connotati. Il dna dei fuoriclasse”.

Il timoniere d’oro colpito, abbagliato da un titolo della Gazzetta dello Sport. Nove colonne, in prima pagina, il giorno dopo il trionfo alle olimpiadi di Seul. “Siamo un popolo di Abbagnale”. “Bellissimo, il massimo. Quel titolo ha avuto un effetto immediato sconvolgente. Noi tre orgogliosi di essere un popolo”.

Genuini in tre, la gente voleva un gran bene ai Fratelloni d’Italia e al loro piccolo grande timoniere. “Incarnavamo l’aspetto pulito dello sport”. Un concetto comune, molto alto, ne muoveva i remi, il timone, la barca. Vivevano la gara e la competizione allo stesso modo, con lo stesso spirito. “Chi arriva secondo o terzo è uno sconfitto”.

DSC_6749_Public_Notizie_350_870_3Il mondo si accorgeva di loro tre, li scopriva, e incredulo li celebrava nel 1982, a Lucerna. Un rivelazione: il due con dell’Italia campione del mondo. Meraviglia, sconcerto, ma questi chi li ha mandati? L’immagine di quella giornata trionfale si sarebbe ripetuta negli anni. Alle olimpiadi e ai campionati del mondo: il dottor La Mura in bicicletta lungo l’argine del campo di gara, il fischietto come a voler lanciare segnali in codice, e le pedalate per stare idealmente nella regata e nella barca con i nipoti e Peppeniello. Alla fine, oltre il traguardo, i fratelli sollevavano di peso il timoniere e lo scaraventano in acqua. Un rito, il rituale della vittoria.

La barca dei sogni, in kevlar, costo diciotto milioni di lire. Qua e là rattoppata, mancava solo il tris d’oro ai Giochi Olimpici di Barcellona. Il campo di gara a Banyoles, lago di acqua potabile, centonove chilometri di autopista dalla capitale della Catalogna, sulla strada di Girona. Il lago non dorato per Giuseppe, Carmine e Peppeniello. Il terzetto in testa dalla partenza fino a trequarti di gara. Poderosi i Fratelloni, vogare sul passo è la specialità della ditta. Una regata da principi fino a trecento metri dalla linea ideale del traguardo. Peppeniello timoniere non sa darsi pace, ancora oggi. “L’unica volta, giuro, in cui ho affrontato gli ultimi duecentocinquanta metri con la sensazione di avere già vinto”.

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Barcellona 1992, il podio

Sensazione sbagliata, purtroppo. Il 2 con più forte al mondo, il più titolato, affiancato e superato dagli inglesi a pochi metri dalla meta. Fratelli anche loro. Gemelli,  Jonathan e Greg Searle. Un secondo, niente, il tempo di un battito di ciglia. Un secondo di differenza, in fondo a undici anni di trionfi. Mai più avevano perso dal 1988. Peppeniello con la testa nascosta tra le mani mani, un gesto che sapeva di disperazione. La mimica dello sconforto. Lacrime italiane, abbiamo pianto in tanti. I gemelli inglesi, da quel giorno in poi, vinceranno pochissimo. Due medaglie d’argento ai mondiali e stop, sconfitti nella rivincita dai fratelli Abbagnale. Gara non ufficiale, nel teatro più affascinante e magico. A Napoli nello specchio d’acqua davanti al lungomare di via Caracciolo.

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Giuseppe Abbagnale e Peppeniello Di Capua

Basta timone nel ’96. Giuseppe Di Capua scende dalla barca, si ritira. Bye bye, Fratelloni. Mette su pancetta, e si fa fatica a riconoscerlo, tradito però in questo senso dalla voce. Il timbro è sempre lo stesso, quello dei giorni d’oro alle olimpiadi e ai campionati del mondo. Quella voce per comunicare che si ritiene tradito dal suo sport. Il canottaggio come la donna del cuore che molla il proprio uomo all’improvviso, senza nemmeno guardarlo in faccia. Fine di un grande amore. Non una parola, niente, zero. “Nessuno che mi abbia avvicinato per dirmi se mi fosse piaciuto fare qualcosa per il canottaggio. Io vittima di un torto, se premettete”. Polemica nessuna, mai esposto il dolore. Si teneva tutto dentro, compagno di una considerazione molto amara. Lo sport è cambiato, l’Italia è cambiata.

Sbollita la rabbia, ammorbidito il magone, il buon Peppeniello dalla barba chiara, di un grigio-biondo, spesso incolta, un filo lunga, si lascia prendere da una proposta soft. Risalire in barca, tornare al timone, mettersi al comando del 4 con pesi leggeri pararowing. Atleti con lievi problemi, diversamente abili alle braccia, al tronco, alle spalle. La proposta gli garba. Sì, ci sta. Ma non aveva detto di aver lasciato il canottaggio per sempre? Racconta di aver scherzato, quella dichiarazione di rinuncia definitiva era il frutto di una solenne arrabbiatura. Una delusione grande davvero, in maniera inversamente proporzionale all’altezza di Peppeniello, ora appesantito dalla lunga inattività. Palesemente rotondo, la pancetta da commendatore.

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Peppeniello vincente anche a 55 anni

Deve perdere peso e riacquisire un aspetto almeno passabile. Si sottopone ad una rigidissima dieta. Rinunce, privazioni, sacrifici. Una fatica boia sopportata con il sorriso a fior di labbra e qualche improperio contro se stesso, in dialetto. Riesce a rientrare nel peso e a ritornare timoniere. Cinque lustri dall’ultima medaglia, riprende il timone nel 2013, a cinquantacinque anni. E va vincere il titolo mondiale, la medaglia d’oro, ai campionati del mondo pararowing, in Corea del Sud. Il paese del dolce mattino di quel meraviglioso mattino del 1988 con Giuseppe e Carmine Abbagnale.

Il piacere, la fortuna, la gioia di guidare alla vittoria cinque fantastici ragazzi e ragazze, componenti a turno dell’equipaggio italiano campione del mondo. Una barca  mista: Paola Protopapa, Valentina Grassi, Licilla Aglioti, Omar Airolo, Tommaso Schettino. “Io mi sono limitato a fare quello che so fare: partire per vincere”.

Vincere: verbo e motto di una vita in barca. Giuseppe Di Capua, alias Peppeniello, ritiene che la sua esistenza di timoniere sia stata una buona vita. Vittorie, medaglie, applausi, notorietà, una bella famiglia, tre figli, amicizie grandi e importanti. E un film ispirato alle leggendarie imprese del 2 con. I Fratelloni e lui. “Una storia italiana”, regia di Stefano Reali, interpreti Raul Bova, Giuliano Gemma, Sabrina Ferilli. Centottanta minuti e la menzione al festival della Tv a Montecarlo. Castellamare di Stabia nel ‘92, gli Abbagnale e Peppiniello Di Capua. “Non potrei chiedere di più al canottaggio e alla vita”. Sipario.

 ( “Dentro i secondi” di Franco Esposito e Dario Torromeo -Absoluteli Editore)

 

 

 

 

 

 

 

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