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La rivolta della minigonna

di Francesca Paci

Cherchez la femme. Per due giorni la temibile polizia religiosa altrimenti detta «Comitato per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio» ha setacciato l’Arabia Saudita alla ricerca di tal Khulood, la modella che si era avventurata in top e minigonna tra i vicoli dello storico forte di Ushayqir, nella ultra-conservatrice provincia di Najd.

Francesca Paci

Francesca Paci

Secondo la tv governativa Al Ekhbariya la ribelle è stata arrestata ieri con gran sollievo dei moralisti che, pur di ribadire la propria autorità, si affrettano a chiudere la stalla anche se i buoi sono scappati. Uno a zero dunque, ma in una partita ancora tutta da giocare. Sì, perché se sbattere in cella Khulood con l’accusa di «abbigliamento immodesto» servirà forse a ridimensionarla (e non è scontato), difficilmente ne annullerà il gesto, antico come una performance agit-prop della Mosca Anni 20 e modernissimo nel suo infinito moltiplicarsi online (la clip è già virale).

Malak al-Sheri fu incarcerata

Malak al-Sheri

Non è la prima volta che le ragazze di Riad sbeffeggiano i tabù confessionali utilizzando proprio quel corpo che la versione più oltranzista della legge islamica vorrebbe intabarrato nella tradizionale abaya nera. Sei mesi fa Malak al-Sheri fu incarcerata dai custodi del pudore per aver tweettato un selfie in cui appariva a spasso per al Tahliya street senza palandrana, senza velo e con una vivace gonna fru-fru sulle caviglie bene in vista. Di nuovo un happening.

Come quando nel 2014, sull’esempio di Loujain al-Hathloul e Maysa al-Amoudi, si misero al volante in 47 per sfidare con il divieto di guidare un intero meccanismo di controllo della donna che ora viene parzialmente messo in discussione pure da un membro della famiglia reale del peso patrimoniale del principe Alwaleed bin Talal.

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La novità degli ultimi mesi è che il trentenne erede al trono Mohammed bin Salman ha lasciato intendere la volontà di aprire al divertimento la petrol-monarchia in cui oltre il 50% della popolazione ha meno di 25 anni.

La condizione della donna però, resta agganciata a un passato patriarcale ben rappresentato dal tutoraggio maschile necessario per avere il passaporto, andare all’estero, richiedere visite mediche (è stato concesso di farne a meno solo per le pratiche amministrative).

La provocazione di Khulood (di cui però non conosciamo le motivazioni) riattizza così le braci vive sotto la cenere, con lo scrittore Ibrahim al-Munayif che mette in guardia dal caos in agguato dietro al violare la legge e moltissimi giovani a difendere il diritto della donna saudita a mostrarsi vestita come è permesso alle donne occidentali (anche in visita a Riad).

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Il tema va ben oltre i confini nazionali. In assenza di piattaforme politiche reali l’altra metà del cielo musulmano pare aver scelto la via del situazionismo, l’arte del gesto anarchico per rimettere in discussione l’ordine prestabilito. Improvvisa Khulood.

Improvvisa Malak al-Sheri. Improvvisano le iraniane che, oltre a inventare ogni giorno un sistema nuovo per far scivolare all’indietro il chador, rispondono da anni con entusiasmo all’appello della giornalista Masih Alinejad che le invita a fotografarsi senza velo sulla pagina Facebook MyStealtyFreedom.

Lo scorso anno a Teheran diverse modelle sono state accusate di comportamento anti-islamico per aver mostrato i capelli su Instagram. In Iran come a Riad la questione dell’abito che fa o non fa il monaco si perde nell’idea archetipa della donna portatrice di guai. A priori. Con le donne che sempre più spesso rivendicano il diritto a farlo.

(Stampa)

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